È successo raramente nella storia, ma è successo,
che in un momento in cui sembrava che le regole del gioco fossero
immutabili, che i vincitori fossero imbattibili e i perdenti
senza alcuna possibilità di riscatto, un uomo solo,
assolutamente privo di potere, ricchezze, fama, bellezza,
amicizie, un uomo qualunque della specie innumerevole dei
perdenti, riuscisse a sovvertire le regole del gioco e a far
saltare il banco. La storia raccontata in questo libro è la
storia di uno di quegli eventi rari ed è la storia di un
uomo eccezionale che nasce perdente e diventa vincente, che non
è bello ma affascinante, che non è simpatico ma è
adorato come un dio; non ha amicizie vere ma conta migliaia di
ammiratori; mette i lunghi capelli in bocca o nel piatto ove sta
mangiando ma è conteso ospite alla tavola dei ricchi e dei
potenti; non sorride mai ma si traveste da santo mettendosi in
testa, a mo' di aureola, la superficie attiva di un hard disk
della prima generazione; non ha i soldi per pagarsi una cena al
ristorante ma ha sconvolto un mercato da migliaia di miliardi di
dollari.
Il gioco è un comparto industriale delle dimensioni di
quello dell'automobile, dominato da pochissimi attori, meno delle
dita di due mani, in virtù della regola che chi vince prende
tutto il piatto. È il settore industriale del software, ad
altissima intensità di lavoro e poverissima intensità
di capitali, che produce oggetti immateriali senza impiego di
energia, puro spirito, frutto di sola intelligenza, fantasia,
tenacia, miliardi di ore di lavoro.
Il protagonista della storia è Richard Stallman, figlio
di un veterano della seconda guerra mondiale e di un insegnante.
Bimbo povero ma felice, è improvvisamente sottoposto al
dolore per il divorzio dei genitori e, in breve tempo, per la
scomparsa dei nonni adorati. Quegli eventi lo trasformano in un
ragazzo infelice, predisposto all'isolamento sociale ed emotivo,
“al confine dell'autismo”, come lo stesso Richard
confessa. Lo sostengono un'eccezionale intelligenza, l'amore per
lo studio e in particolare per le discipline scientifiche,
l'amicizia dei compagni del college, l'unica vera casa della sua
vita.
All'università diventa un hacker, che significa molto di
più della bravura nel programmare un virus o violare un
codice crittografico. La cultura hacker ha divertenti componenti
goliardiche, un linguaggio rigorosamente scientifico che
incorpora le primitive del linguaggio di programmazione LISP, un
lessico variopinto che riflette un feroce atteggiamento critico
verso i meccanismi del potere.
Ad esempio, “suit” è uno “scomodo abito
da lavoro caratterizzato da uno strangling device che un hacker
non indosserebbe mai”, ed è anche un individuo della
specie umana vestito con uno “suit” a cui lo
strangling device riduce molto l'irrorazione cerebrale.
Soprattutto, la cultura hacker è caratterizzata da un
rigoroso senso morale, per cui un vero hacker non danneggerebbe
mai un sistema informativo o un programma applicativo; e da una
istintiva vocazione per la fraternità, la solidarietà e
l'uguaglianza. Così Richard, che nella prima giovinezza
aveva assunto atteggiamenti conservatori, si converte al credo
progressista della madre.
Comunque, nella sua ideologia politica, la libertà è
più importante dell'uguaglianza, per cui si terrà alla
larga dal marxismo. Un giorno, in occasione di un convegno, si
irritò molto con me, perché, come schematizzazione
didattica scherzosa, avevo assimilato la rivoluzione del software
libero a quella bolscevica e avevo affermato: “Stallman sta
a Torvalds come Lenin sta a Stalin”. “Io non sono
affatto comunista”, proclamò con forza quel giorno,
forse anche per difendere il suo movimento dall'accusa ricorrente
di “infocomunismo”, che suona come gravemente
infamante nella società americana.
La madre di Stallman è ebrea, ma Richard si proclama
ateo. Per un certo periodo di tempo, negli anni '70, va in giro
esibendo una spilla con la scritta “Processiamo Dio”.
Spiega che se Dio fosse così potente da aver creato il mondo
senza far nulla per correggere i problemi, perché mai
dovremmo adorarlo? Non sarebbe più ragionevole processarlo?
E qualche volta dà una risposta contemporaneamente scherzosa
e provocatoria: “Il mio nome è Jehovah. Ho un progetto
speciale per la salvezza dell'universo, ma non posso rivelarlo.
Devi avere fiducia in me, perché soltanto io sono in grado
di vedere come stanno le cose. Se non avrai fede in me, ti
metterò nella lista dei nemici per gettarti nell'abisso ove
l'Ufficio Infernale delle Imposte passerà al vaglio le tue
dichiarazioni dei redditi da qui all'eternità.”
Comunque, in contrasto con la professione di ateismo, i suoi
atteggiamenti e le sue idee appaiono caratterizzate da una
profonda, rigida religiosità. Per altro, soltanto gli uomini
dotati di profonda, convinta religiosità, sono in grado di
determinare le eccezionali trasformazioni delle regole del gioco.
Come ogni autentico credente, Richard considera sacri i principi
della sua fede e non accetta mai alcun tipo di compromesso. Anzi,
nella sua intransigenza, diventa quasi violento quando lo si
contraddice sui dogmi.
La storia della sua azione scientifica e politica inizia nei
primi anni '80, quando, come diffusamente raccontato nel libro,
percepisce che i principi della libera diffusione e condivisione
del software e delle idee che hanno caratterizzato i primi tre
decenni dello sviluppo dell'informatica, sono violati da un nuovo
atteggiamento delle aziende informatiche più importanti.
Queste, non distribuiscono più il codice sorgente dei loro
programmi per evitare la loro copiatura e non consentono, quindi,
ai loro utilizzatori, l'adeguamento alle proprie esigenze e il
miglioramento di funzionalità e prestazioni.
Il nuovo atteggiamento determinerà la nascita di un nuovo
comparto industriale, caratterizzato oggi da fatturati annui
dell'ordine del miliardo di dollari, ma avrà pesanti
implicazioni negative come chiaramente percepito da Stallman: il
condizionamento del progresso scientifico e tecnologico,
l'inutile duplicazione di sforzi da parte di aziende concorrenti
per realizzare gli stessi prodotti, danni gravi alla formazione
per l'impossibilità di studiare le funzionalità e la
struttura del software in assenza del codice sorgente.
Stallman comprende questi pericoli incombenti e per
fronteggiarli fa una scelta radicale, in linea con i suoi
principi e il suo stile di vita. Abbandona, infatti, il suo
mestiere sicuro di ricercatore e professionista dell'informatica
e si butta, anima e corpo, nel progetto di realizzare un universo
di programmi disponibili in linguaggio sorgente e aperti a un
continuo progresso. Fonda la “Free Software
Foundation” e dà a questa un preciso obiettivo
importante: la realizzazione di un nuovo sistema operativo
compatibile con UNIX, ma libero. A questo attribuisce il nome e
il simbolo GNU, suggerito dalla definizione ricorsiva come nella
tradizione hacker “Gnu is Not Unix”. In altri
termini, GNU non è lo UNIX coperto da copyright di A.T.T.,
ma ha le stesse funzionalità.
Nell'arco di 7-8 anni la Free Software Foundation costruisce
un enorme patrimonio di programmi: compilatori, manipolatori di
testi, strumenti di sviluppo, ma non completa lo sviluppo del
nucleo del sistema operativo. Fortunatamente, nel 1991, uno
studente finlandese, allora ventunenne, Linus Torvalds, decide di
sviluppare il nucleo, “just for fun”, come
spiegherà in un libro dedicato al racconto affascinante del
suo progetto. Parte da un prodotto didattico molto diffuso nelle
università e chiama a raccolta un certo numero di
progettisti e programmatori volontari. Così, in tempi
incredibilmente brevi, l'opera di Stallman viene completata e
nasce il nuovo sistema operativo GNU/Linux.
Il successo di questo nuovo prodotto è travolgente.
Nell'arco di pochi anni, il nuovo sistema operativo si manifesta
come un serio pericolo anche per Windows di Microsoft.
Contemporaneamente, esplode il mondo dei prodotti e delle
applicazioni di Internet, i cui componenti fondamentali --
protocolli e strumenti di base -- sono stati sviluppati
applicando le logiche del software libero.
I successi inducono molte aziende importanti, come IBM e SUN,
ad accettare almeno in parte il credo di Stallman. Ma i loro
atteggiamenti tradiscono l'utilitarismo e non sono graditi a
Richard, che denuncia con intransigenza la commistione
peccaminosa di software libero e software proprietario. È
l'innesco della feroce guerra civile -- brillantemente descritta
nel libro -- fra gli intransigenti puristi di Stallman e altri
protagonisti, più elastici, della storia del software
libero.
Ero seduto un giorno a un convegno a fianco di Stallman,
quando fu chiamato alla tribuna il rappresentante di una delle
aziende peccaminose. Stallman aprì allora il suo computer
portatile e si mise a lavorare ostentando indifferenza. Ma
quell'atteggiamento apparve subito molto difficile da mantenere.
Nei primi cinque minuti dell'intervento Richard iniziò a
emettere alcuni grugniti di disapprovazione, per passare a
interruzioni sempre più vivaci nei successivi cinque. Ad un
certo punto perse definitivamente la pazienza, chiuse di scatto
il portatile e si allontanò dalla sala con incedere
provocatorio per rientrarvi solo alla fine dell'intervento
dell'eresiarca.
Confesso di aver sempre ammirato Stallman e di aver condiviso
le sue idee, ma di aver sempre ritenuto utopistico il suo
progetto politico e scientifico. Quando alcuni anni fa proposi
all'allora ministro della Ricerca Scientifica, Luigi Berlinguer,
un programma nazionale di ricerca sul software libero, rimasto
ignorato nei suoi cassetti, mi aspettavo soltanto risultati
parziali e benefici, relativamente limitati per il settore
dell'informatica italiana. Oggi sono invece convinto che Stallman
sia molto vicino all'arco di trionfo.
A indurmi all'ottimismo sono molte novità clamorose:
l'esplosione di Internet, strumento fondamentale della
comunità dei programmatori liberi; la cresciuta importanza
delle tecnologie “soffici” rispetto a quelle
“dure”; le iniziative dei governi dei paesi più
avanzati, compreso il nostro; l'interesse di quasi tutte le
multinazionali dell'informatica e delle telecomunicazioni.
Soprattutto, la crescita esponenziale delle conoscenze ha
portato all'esplosione della complessità e ha reso sempre
più difficile per le multinazionali del software la
competizione con quello che il filosofo Polanyi chiama “La
Repubblica della Scienza”, ossia la comunità dei
ricercatori pubblici di tutto il mondo. Oggi il patrimonio
collettivo del software libero è molto più ricco di
quello del software proprietario.
Il gioco continua a essere del tipo: “Il più forte
prende tutto”, ma oggi il più forte è il mondo
della collaborazione. Oggi collaborare è più
conveniente che competere. Un nuovo modello di sviluppo basato
sulla solidarietà è oggi possibile, non soltanto per
una scelta razionale dell'umanità, ma anche in virtù
delle novità che ho elencato e della conseguente
trasformazione radicale delle regole dell'economia mondiale.
Torino, 19 dicembre 2002
Angelo Raffaele Meo
Politecnico di Torino