Come sconfiggere la solitudine
Scrivere la biografia di qualcuno ancora vivo è un po'
come curare la produzione di uno spettacolo teatrale. Il dramma
rappresentato sul palco impallidisce di fronte a quello in atto
dietro le quinte.
Nel libro The Autobiography of
Malcolm X, Alex Haley offre ai lettori un colpo
d'occhio al dramma che si svolge dietro le quinte. Abbandonando
il ruolo di ghostwriter, Haley decide di narrare l'epilogo finale
in prima persona. Un epilogo in cui illustra il percorso di un
giornalista freelance, inizialmente definito
“strumento” e “spia” dal portavoce della
Nation of Islam, che riesce poi a superare una serie di ostacoli
personali e politici pur di mettere su carta il racconto della
vita di Malcolm X.
Pur esitando a paragonare il mio libro a quello di Haley, ho
un debito di gratitudine con lui per quello schietto epilogo. Nel
corso degli ultimi 12 mesi mi è servito come una sorta di
manuale d'uso per il trattamento di un soggetto biografico che ha
costruito l'intera carriera sul continuo dissenso con chiunque
altro. Fin dall'inizio avevo previsto di chiudere questo lavoro
con un epilogo analogo, sia in omaggio a Haley sia per informare
i lettori sull'evoluzione stessa del libro.
La storia dietro questa storia inizia in appartamento di
Oakland, California, per dipanarsi successivamente nelle varie
località menzionate nel libro – Silicon Valley, Maui,
Boston e Cambridge. Ma in definitiva il racconto ruota intorno a
due città: New York, capitale mondiale dell'editoria, e
Sebastopol, California, capitale editoriale di Sonoma County.
Una storia che prende avvio nell'aprile 2000, epoca in cui
collaboravo con il defunto sito Web BeOpen (http://www.beopen.com/). Uno dei
miei primi lavori fu un'intervista telefonica con Richard M.
Stallman. Il pezzo venne fuori abbastanza bene, al punto che
Slashdot (http://www.slashdot.org/), il noto
sito di “news for nerds” di proprietà della VA
Software, Inc. (già VA Linux Systems e ancor prima VA
Research), vi inserì un link nell'elenco dei riferimenti
quotidiani. Dopo poche ore, i server web di BeOpen presero a
surriscaldarsi per i numerosi utenti che volevano leggere
l'intervista.
Considerando gli scopi e gli obiettivi iniziali, la storia
avrebbe dovuto chiudersi qui. Invece tre mesi dopo
quell'intervista, mentre seguivo la O'Reilly Open Source
Conference di Monterey, California, ricevetti la seguente e-mail
da Tracy Pattison, responsabile dei diritti esteri presso un
grande editore di New York:
To: sam@BeOpen.com
Subject: RMS Interview
Date: Mon, 10 Jul 2000 15:56:37 -0400
~
Ho letto con molto interesse la tua intervista con Richard
Stallman su BeOpen. Seguo da tempo RMS e le sue attività, e
direi che il tuo pezzo è veramente riuscito a catturare
buona parte dello spirito di quanto Stallman sta facendo con
GNU-Linux e la Free Software Foundation.
Mi piacerebbe tuttavia saperne di più -- e non credo di
essere la sola a volerlo. Credi sia possibile reperire ulteriori
fonti e/o informazioni per espandere e aggiornare l'intervista e
adattarla in una sorta di profilo di Stallman? Grazie forse a
notizie più aneddotiche sulla sua personalità e sul suo
passato che possano interessare e illuminare quei lettori al di
fuori della ristretta cerchia dei programmatori?
Il messaggio suggeriva di telefonarle in modo da elaborare
ulteriormente quell'idea. Fu esattamente quello che feci. Tracy
mi riferì che il suo editore stava per lanciare una collana
di libri elettronici, ed era alla ricerca di titoli in grado di
attirare la prima ondata di utenti. Il formato dell'e-book non
superava le 30.000 parole, circa 100 pagine, e lei stessa aveva
suggerito di aprire con una delle figure più importanti
della comunità hacker. L'idea era piaciuta e nella fase di
ricerca si era imbattuta nell'intervista a Stallman su BeOpen.
Aveva così deciso di inviarmi quella e-mail.
Ecco cosa mi chiedeva Tracy: sarei stato disposto ad ampliare
l'intervista per arrivare ad un vero e proprio profilo di quella
lunghezza?
La mia replica fu immediata: ci sto. Prima dell'accettazione
definitiva, Tracy suggerì di mettere insieme una proposta
formale da presentare ai suoi dirigenti. Due giorni dopo le
inviai un progetto dettagliato. Trascorsa una settimana, Tracy
replicò via e-mail di aver ottenuto semaforo verde.
Devo ammettere che ebbi un ripensamento sul fatto di poter
coinvolgere Stallman in un progetto di libro elettronico. Da
giornalista attento al mondo open source, ero ben consapevole
della sua enorme pignoleria. A quel punto avevo già raccolto
una mezza dozzina di e-mail in cui venivo sgridato per aver usato
“Linux” anziché “GNU/Linux”.
Eppure sapevo anche che Stallman era alla ricerca di nuove
opportunità per far giungere il proprio messaggio a un
pubblico più vasto. Forse se gli avessi presentato il
progetto sotto questo punto di vista, si sarebbe mostrato
maggiormente ricettivo. In caso negativo, avrei sempre potuto
fare affidamento sulla notevole mole di documenti, interviste e
resoconti online di conversazioni diffuse in giro da Stallman
così da mettere insieme una biografia non autorizzata.
Durante la ricerca, scovai un saggio dal titolo “Freedom
Or Copyright?” (Libertà o copyright?), scritto da
Stallman e apparso sul numero di giugno 2000 della MIT Technology Review, dove si
bacchettavano gli e-book per una serie di peccati commessi nel
software. Non soltanto i lettori erano costretti a ricorrere a
programmi proprietari per leggerli, lamentava Stallman, ma i
metodi utilizzati a prevenzione di copie non autorizzate
apparivano eccessivamente pesanti. Anzichè fare il download
di un comune file HTML o PDF, gli utenti prelevavano un file
cifrato. Essenzialmente l'acquisto di un e-book significava
comprare una chiave non trasferibile tramite la quale poter
decifrare il contenuto protetto da crittografia. Ogni tentativo
di aprire tale contenuto in assenza dell'apposita chiave
costituiva un reato penale sulla base del Digital Millennium
Copyright Act, la legge del 1998 mirata a imporre la stretta
tutela del copyright su Internet. Analogo lo scenario per quei
lettori che avessero convertito il contenuto di un libro
elettronico in un file di formato comune, pur se con l'unica
intenzione di leggerlo altrove su un computer diverso. Al
contrario di un normale volume cartaceo, ai lettori veniva negato
il diritto a prestare, copiare o rivendere l'e-book. Veniva loro
riconosciuto soltanto il diritto a leggerlo su una specifica
macchina autorizzata, nella spiegazione di Stallman:
Con i libri cartacei ci vengono tuttora riconosciute le
libertà di una volta. Ma se questi dovessero essere
sostituiti dagli e-book, ciò servirebbe a ben poco. Con il
cosiddetto “inchiostro elettronico”, grazie al quale
è possibile effettuare il download di nuovo testo in un
foglio apparentemente stampato, perfino i giornali rischiano di
divenire effimeri. Facile immaginarne le conseguenze: non
più librerie dell'usato; impossibile prestare un libro a un
amico o prenderne uno in prestito dalla biblioteca pubblica;
nessuna possibilità che qualcuno possa leggere senza pagare.
(E a giudicare dalle pubblicità di Microsoft Reader, basta
perfino con l'acquisto anonimo di libri). Questo lo scenario che
gli editori starebbero preparandoci[129].
Inutile aggiungere come il saggio suscitasse più di
qualche preoccupazione. Né Tracy né io avevamo discusso
il software a cui la casa editrice sarebbe ricorsa per l'e-book,
e neppure si era parlato del tipo di copyright che ne avrebbe
tutelato l'utilizzo. Le menzionai l'articolo su Technology Review, chiedendole
di fornirmi ragguagli sulle procedure aziendali al riguardo.
Tracy promise che mi avrebbe fatto sapere.
Impaziente di darmi da fare, decisi di chiamare comunque
Stallman per informarlo del progetto. Quando lo feci, egli
espresse un immediato interesse e un'altrettanto immediata
preoccupazione. “Hai letto il mio saggio sugli
e-book?” mi chiese. Gli risposi affermativamente,
aggiungendo di essere in attesa della replica dell'editore. A
quel punto egli pose due condizioni: non avrebbe appoggiato un
meccanismo di licenza dell'e-book cui fondamentalmente si
opponeva, e non voleva apparire come qualcuno che potesse offrire
un simile sostegno. “Non voglio partecipare in
alcunché possa farmi apparire un ipocrita”,
spiegò.
Per Stallman, la questione del software era secondaria
rispetto a quella del copyright. Mi disse che non si sarebbe
curato della scelta del software imposta dall'editore o dai
rivenditori coinvolti, purché nella dicitura del copyright
venisse specificatamente consentita agli utenti la libertà
di fare e distribuire copie letterali del contenuto originale.
Stallman segnalò come possibile modello The Plant di Stephen King. Nel
giugno 2000 quest'ultimo annunciò sul proprio sito Web
l'intenzione di auto-pubblicare il libro a puntate. Secondo
quanto riportato nell'annuncio, il costo totale del libro finale
sarebbe stato 13 dollari, diviso in rate da un dollaro ciascuna.
Fintanto che il 75% dei lettori avesse pagato per ogni capitolo,
King promise che avrebbe continuato a distribuire i successivi.
Ad agosto il progetto parve funzionare, con due capitoli
pubblicati e un terzo in arrivo.
“Potrei accettare qualcosa di analogo”, concluse
Stallman. “Purché venga permessa la copia
letterale”.
Inoltrai quanto sopra a Tracy. Fiducioso che saremmo riusciti
a raggiungere un accordo equo per tutti, richiamai poi Stallman
così da stabilire la prima intervista per il libro. Si disse
d'accordo senza pormi ulteriori domande sullo stato delle cose.
Poco tempo dopo la prima intervista, mi sbrigai a fissare la
successiva (quella di Kihei), cercando di incastrarla prima che
Stallman andasse in vacanza a Tahiti per due settimane.
Fu durante questa sua vacanza che ricevetti la brutta notizia
da Tracy. Il dipartimento legale dell'azienda non voleva
modificare alcun copyright sull'e-book. I lettori che avessero
desiderato trasferirne i contenuti, sarebbero così stati
costretti a superare il codice di cifratura oppure a convertirne
il contenuto in un formato aperto tipo HTML. In un caso o
nell'altro, ciò avrebbe significato infrangere la legge e
andare incontro a conseguenze penali.
Con due interviste fresche già nel cassetto, non vedevo
altro modo per scrivere il libro se non quello di raccogliere
nuovo materiale. Organizzai rapidamente un viaggio a New York per
incontrare il mio agente e Tracy così da studiare
un'eventuale soluzione di compromesso.
Una volta a New York, vidi prima il mio agente, Henning
Guttman. Era il nostro primo incontro faccia a faccia, e si
dimostrò pessimista sulla possibilità di forzare
qualche compromesso, almeno rispetto alla posizione dell'editore.
Le case editrici grandi e famose guardavano già con sospetto
al formato del libro elettronico e non parevano propense a
sperimentare una formulazione del copyright che facilitasse agli
utenti la possibilità di non pagare. In quanto agente
specializzato in editoria tecnica, tuttavia, Henning si
mostrò interessato all’aspetto romanzesco della
situazione. Lo informai sulle due interviste già raccolte e
sulla promessa di non pubblicare il libro in alcuna maniera che
avesse potuto far apparire Stallman “come
un'ipocrita”. Concordando sul fatto che fossi vincolato da
un accordo morale, suggerì di far leva su un simile
vincolo.
A parte ciò, aggiunse Henning, avremmo sempre potuto
ricorrere alla strategia del bastone e della carota. Quest'ultima
riguardava la pubblicità derivante dall'uscita di un e-book
rispettoso dei principi etici interni alla comunità hacker.
Il bastone era costituito dai rischi insiti nella pubblicazione
di un libro elettronico che invece andasse contro tali principi.
Nove mesi prima che Dmitri Skylarov divenisse un caso celebre su
Internet, eravamo consapevoli che sarebbe stata soltanto
questione di tempo prima che qualche abile programmatore
rivelasse come infrangere i sistemi di protezione degli e-book.
Sapevamo altresì come la pubblicazione presso un grande
editore di un libro elettronico protetto da crittografia su
Richard M. Stallman equivalesse a mettere in copertina una frase
tipo: “ruba questo e-book”.
Dopo l'incontro con Henning, decisi di richiamare Stallman.
Nella speranza di rendere la carota più allettante,
discutemmo alcuni possibili compromessi. Perché non proporre
all'editore di pubblicare il libro sotto una doppia licenza,
qualcosa di simile a quanto aveva fatto la Sun Microsystems con
Open Office, il pacchetto desktop di software libero? La versione
commerciale dell'e-book avrebbe potuto essere pubblicata in un
formato normale, approfittando delle opzioni aggiuntive offerte
dall'apposito software, e al contempo sarebbe stata diffusa la
versione copiabile nel formato HTML, esteticamente meno
appetibile.
Stallman replicò di non aver problemi con la doppia
licenza, ma era contrario all'idea di rendere la versione
liberamente copiabile inferiore rispetto a quella a pagamento.
Inoltre, aggiunse, l’idea era fin troppo complicata. La
doppia licenza funzionò nel caso di Open Office soltanto
perché non era possibile esercitare alcun controllo sulla
decisione presa. In questa circostanza, aggiunse, poteva invece
influenzare il risultato finale. Poteva rifiutarsi di
collaborare.
Avanzai qualche altra proposta senza ottenere grande effetto.
L'unica concessione che riuscii a strappare a Stallman fu che il
copyright dell'e-book potesse limitare ogni forma di condivisione
alla “redistribuzione non-commerciale”.
Prima di chiudere la conversazione, mi suggerì di
informare l'editore sulla mia promessa di garantire la libera
circolazione dell'opera. Gli risposi che, pur non potendomi
dichiarare totalmente d'accordo su questa posizione, non vedevo
come avrei mai potuto finire il libro senza la sua personale
cooperazione. Apparentemente soddisfatto, Stallman chiuse la
telefonata con il solito saluto: “Happy hacking”.
Il giorno seguente io e Henning c'incontrammo con Tracy, che
c'informò della disponibilità da parte dell'editore a
pubblicare porzioni dell'e-book liberamente copiabili in formato
non cifrato, senza però superare le 500 parole. Henning le
spiegò che ciò non mi avrebbe consentito di tener fede
all'impegno morale preso con Stallman. Tracy ribatté facendo
presente gli obblighi contrattuali assunti dall'azienda con
distributori quali Amazon.com. Anche nel caso della libera
disponibilità del testo soltanto per questa volta, esisteva
il rischio che gli altri partner l'avrebbero considerato una
rottura degli impegni contrattuali. Escludendo qualsiasi
cambiamento di opinione da parte dell'editore o di Stallman, la
decisione finale pesava esclusivamente sulle mie spalle. Avrei
potuto usare le interviste già realizzate e ribaltare il mio
precedente accordo con Stallman, oppure avrei potuto rifarmi
all'etica giornalistica per ribadire l'accordo verbale sulla
pubblicazione del libro.
Dopo la riunione, io e il mio agente andammo a sederci in un
bar sulla Third Avenue. In quei giorni usavo il suo telefono
cellulare per chiamare Stallman, lasciando un messaggio quando
non rispondeva. Henning si assentò un momento, così da
lasciarmi il tempo di raccogliere le idee. Quando tornò,
teneva in mano il cellulare.
“È Stallman”, annunciò.
La conversazione partì subito col piede sbagliato. Gli
riferii i commenti di Tracy sugli obblighi contrattuali
dell'editore.
“E allora?”, fece Stallman bruscamente.
“Perché mai dovrei fregarmene dei loro impegni
contrattuali?”
Perché è troppo chiedere a una grande casa editrice
di rischiare una battaglia legale con i distributori per un libro
elettronico di 30.000 parole, azzardai.
“Ma non te ne rendi conto?”, replicò
Stallman. “È proprio questo il punto. Io voglio un
segnale di vittoria. Voglio costringerli a decidere tra la
libertà e i soliti affari commerciali.”
Con la frase “un segnale di vittoria” che mi
echeggiava nella testa, spostai temporaneamente l'attenzione
verso i passanti fuori dal bar. Entrando nel locale, avevo notato
con piacere che si trovava a due passi dall'angolo immortalato
nel pezzo del 1976 dei Ramones “53rd and 3rd”,
canzone che mi era sempre piaciuto rifare nel mio passato da
musicista. Come il vagabondo in perenne frustrazione protagonista
di quel pezzo, mi sentii crollare addosso in un attimo tutto
quello che avevo costruito fino a quel momento. L'ironia era
palpabile. Dopo aver trascorso settimane a registrare con piacere
le lamentele altrui, eccomi nella posizione di dover tentare la
più difficile delle manovre: strappare un compromesso a
Richard Stallman.
Fu mentre continuavo a blaterare sulla posizione dell'editore,
rivelando così la crescente simpatia nei suoi confronti, che
Stallman, come un animale alla vista del sangue, partì
all'attacco.
“Così stanno le cose, dunque? Vuoi abbandonarmi?
Sei proprio deciso a piegarti ai loro voleri?”
Sollevai nuovamente la questione del doppio copyright.
“Intendi dire, doppie licenze”, tagliò corto
Stallman.
“Si, licenze, copyright, quella roba lì”,
risposi, sentendomi improvvisamente come un tonno preso
all’amo che lascia una scia di sangue nel mare dietro di
sè.
“Ah, ma perché diavolo non hai fatto come ti avevo
suggerito?”, urlò.
Devo aver sostenuto la posizione dell'editore fino alla fine,
perché nei miei appunti sono riuscito a prendere nota della
bordata finale di Stallman: “Non m'importa nulla. Quel che
stanno cercando di fare è sbagliato. Addio.”
Appena messo giù il telefono, ecco il mio agente farmi
scivolare davanti un boccale di Guinness alla spina. “Ho
pensato che ne avresti avuto bisogno”, fece ridendo.
“Verso la fine della telefonata, mi sono accorto che stavi
tremando.”
Proprio così. E avrei smesso di tremare soltanto dopo
aver scolato più di mezzo boccale di birra. Era strano
sentirsi definire un emissario del “male”. Ancor
più perché appena tre mesi prima me ne stavo nel mio
appartamento di Oakland cercando ispirazione per il prossimo
articolo. Adesso invece ero seduto in una parte del mondo
conosciuta soltanto attraverso dei pezzi rock, tenendo riunioni
con direttori editoriali e bevendo birra davanti a un agente
letterario che non avevo mai visto in faccia fino al giorno
prima. Pareva tutto così irreale, come guardare la mia vita
scorrere all'indietro nel montaggio di un film.
Fu in quel momento che si fece avanti il mio senso
dell'assurdo. Il tremore iniziale diede luogo a risate convulse.
Agli occhi del mio agente devo essere parso uno dei tanti fragili
scrittori colpito da un improvviso collasso emotivo. Mi sembrava
invece di iniziare ad apprezzare la cinica bellezza di quella
situazione. Che l'affare fosse andato in porto o meno, avevo
già per le mani una buon articolo. Si trattava soltanto di
trovare il posto giusto dove farlo uscire. Quando finalmente
riuscii a fermare quelle convulsioni, alzai il bicchiere per
proporre un brindisi.
“Benvenuto alla linea del fronte, amico mio”,
dissi brindando con il mio agente. “Meglio non prendersela
troppo”.
Se stessimo davvero seguendo la trama di uno spettacolo
teatrale, a questo punto sarebbe stato appropriato un interludio
romantico. Affranta dall'intensità del precedente incontro,
Tracy ci aveva invitato ad andare a bere qualcosa insieme ai
colleghi. Lasciammo perciò il bar sulla Third Avenue,
scendendo giù verso l'East Village per unirci a lei e ai
suoi amici.
Una volta lì, io e Tracy cominciammo a conversare avendo
però cura di evitare ogni questione professionale. Una
conversazione piacevole, rilassata. Prima di lasciarci, rimanemmo
d'accordo che ci saremmo visti nuovamente l'indomani sera. Ancora
una volta la conversazione fu piacevole, a tal punto che l'e-book
di Stallman divenne quasi un lontano ricordo.
Tornato a Oakland, chiamai vari amici e conoscenti
giornalisti. Raccontai loro le mie vicissitudini. Per lo più
venni rimproverato per aver lasciato troppo spazio a Stallman
nelle trattative precedenti le interviste. Un ex professore di
scuola media mi suggerì di ignorare gli
“ipocriti” commenti di Stallman e procedere
tranquillamente con la stesura del libro. Alcuni reporter a
conoscenza della sua sagacia nei confronti dei media, espressero
solidarietà ma offrirono una risposta unanime: la decisione
finale pesa unicamente sulle tue spalle.
Decisi allora di mettere a riposo il progetto. Anche con
quelle interviste, non è che stessi facendo grandi
progressi. In tal modo potevo inoltre continuare a vedere Tracy
senza dover prima discutere con Henning. Entro Natale ci eravamo
scambiati reciprocamente la visita: lei era volata in California,
io ero andato una seconda volta a New York. Il giorno prima di
fine anno, le chiesi di sposarmi. Dovendo scegliere su quale
costa vivere, optai per New York. A febbraio impacchettai il
portatile e tutto il materiale relativo alla biografia di
Stallman, e traslocai definitivamente sulla East Coast. Io e
Tracy ci sposammo l'11 maggio. Decisamente un bel risultato per
un contratto editoriale fallito.
Durante l'estate, iniziai a contemplare la possibilità di
trasformare le interviste in articoli per qualche rivista.
Eticamente mi sembrava una posizione corretta, poiché
nell'accordo originale non si era stabilito nulla riguardo le
comuni pubblicazioni cartacee. A essere onesti, mi sentivo
maggiormente a mio agio provando a scrivere qualcosa su Stallman
trascorsi otto mesi di silenzio radio. Dopo quella telefonata a
settembre, mi aveva inviato soltanto due e-mail. In entrambe
venivo redarguito per aver usato “Linux” anziché
“GNU/Linux” in un paio di articoli per la rivista web
Upside Today. A parte
ciò, avevo apprezzato quel silenzio. A giugno, una settimana
dopo il suo intervento alla New York University, decisi di
rompere il ghiaccio buttando giù un articolo di 5.000 parole
su Stallman. Stavolta le parole fluivano bene. La distanza aveva
contribuito a farmi riguadagnare una prospettiva emotiva.
A luglio, un anno esatto dopo la prima e-mail di Tracy,
ricevetti una telefonata da Henning. Mi diceva dell'interesse di
O'Reilly & Associates, casa editrice di Sebastopol,
California, alla pubblicazione della biografia di Stallman. La
notizia non mancò di farmi piacere. Fra tutti gli editori al
mondo, O'Reilly, lo stesso per cui era uscito The Cathedral and the Bazaar
diEric Raymond, sembrava il più sensibile alle questioni che
avevano di fatto stroncato il precedente e-book. Come
giornalista, avevo utilizzato pesantemente i riferimenti storici
contenuti nel volume Open
Sources, anch'esso apparso per i tipi di
O'Reilly[130]. Sapevo inoltre che parecchi
capitoli di quest'ultimo, compreso quello curato da Stallman,
erano accompagnati da un copyright che ne consentiva la
redistribuzione. Informazione utile nel caso in cui il formato
elettronico fosse saltato nuovamente fuori.
Come infatti accadde puntualmente. Tramite Henning venni a
sapere dell'intenzione di O'Reilly di pubblicare la biografia sia
come libro cartaceo sia all'interno del servizio a pagamento per
abbonati denominato Safari Tech Books
Online. La licenza stabilita in tal caso avrebbe
previsto alcune limitazioni particolari[131], mi avvisò
Henning, ma O'Reilly si dichiarò d'accordo alla stesura di
un copyright che consentisse agli utenti di copiare e distribuire
il testo del libro a prescindere dal formato. Praticamente, in
quanto autore, mi veniva offerta la possibilità di scegliere
tra due tipi di licenza: la Open Publication License oppure la
GNU Free Documentation License.
Verificai contenuti e antefatti relativi a ciascuna
possibilità. La Open Publication License (OPL)[132]
riconosce ai lettori il diritto alla riproduzione e alla
distribuzione dell'opera, per intero o in parte, tramite ogni
supporto “fisico o elettronico”, purché l'opera
copiata mantenga l'identica Open Publication License. Vengono
altresì consentite alcune modifiche sulla base di
particolari condizioni. Sono infine incluse una serie di opzioni
che, se così specificate dall'autore, possono limitare la
creazione di versioni “modificate in maniera
sostanziale” o di derivati sotto forma di libro privi di
approvazione preventiva da parte dello stesso autore.
Invece la GNU Free Documentation License (GFDL)[133]
consente la copia e distribuzione di un documento tramite ogni
supporto, purché l'opera risultante segua la medesima
licenza. Permette inoltre di apportare modifiche rispettando
determinate condizioni. Al contrario della OPL, tuttavia, non
offre agli autori l'opzione di limitare ulteriormente specifici
cambiamenti. Neppure consente agli stessi autori di respingere
quelle modifiche che possano risultare in un prodotto editoriale
in diretta concorrenza. Richiede però l'inclusione di
informazioni specifiche in copertina e sul retro-copertina nel
caso in cui qualcuno, al di fuori del detentore del copyright,
volesse pubblicare oltre 100 copie di un'opera così
tutelata.
Nel lavoro di ricerca sulle licenze, mi assicurai di studiare
l'apposita pagina presente nel sito del progetto GNU, sotto il
titolo “Various Licenses and Comments About Them”
(Licenze varie e relativi commenti)[134]. Fu qui che
trovai un'analisi della Open Publication License firmata da
Stallman. La critica verteva sulla creazione di opere modificate
e sulla possibilità riservata all'autore di scegliere una
qualsiasi delle opzioni della OPL onde limitare le modifiche
consentite. Nel caso in cui però l'autore non fosse
intenzionato a selezionare alcuna opzione, faceva notare
Stallman, meglio sarebbe stato ricorrere alla GFDL, la quale
minimizzava il rischio della successiva apparizione di quelle
opzioni non selezionate nelle versioni modificate di un
documento.
In entrambe le licenze l'importanza delle modifiche ne
rifletteva l'obiettivo originario – ovvero, consentire ai
possessori di manuali software la possibilità di migliorarne
il testo tenendone comunque informato il resto della
comunità. Dato che in questo caso non si trattava di un
manuale, le clausole sulle modifiche delle due licenze mi
riguardavano ben poco. La mia unica preoccupazione stava nel
garantire agli utenti la libertà di scambiare copie del
libro o copiarne il contenuto, assicurando una libertà
identica a quella acquisita grazie all'acquisto del volume
cartaceo. Considerando valide entrambe le licenze in tal senso,
decisi di firmare il contratto con O'Reilly.
Eppure ero attratto dall'idea di consentire modifiche
senz'alcuna restrizione. Nella fase iniziale delle trattative con
Tracy, avevo menzionato i meriti di una licenza tipo GPL per il
contenuto dell'e-book. Nel caso peggiore, mi dicevo, quella
licenza avrebbe garantito una buona pubblicità positiva. Nel
caso migliore, avrebbe incoraggiato i lettori a partecipare al
processo di scrittura del libro. Come autore avrei consentito
agli altri l'emendamento del testo purché il mio nome fosse
comparso sempre davanti a quelli altrui. Inoltre, sarebbe stato
interessante osservare l'evoluzione del progetto. Immaginavo le
edizioni successive simili a versioni online del Talmud, con il
mio testo originale in una colonna centrale circondato dai
perspicaci commenti altrui ai margini.
Sostanzialmente l'idea traeva ispirazione dal progetto Xanadu
(http://www.xanadu.com/), la
leggendaria idea di software inizialmente concepita da Ted Nelson
nel 1960. Durante la O'Reilly Open Source Conference del 1999,
avevo seguito la prima dimostrazione del derivato open source di
quel progetto, Udanax, rimanendo assai colpito dai risultati
ottenuti. Nella visualizzazione di una sequenza, Udanax
presentava l'opera originale e quella derivata tramite il
semplice formato testuale affiancato su due colonne. Grazie a un
semplice clic, il programma visualizzava delle linee che
collegavano ogni frase del testo originario con l'analogo
concettuale dello scritto derivato. Non sembrava certo necessario
ricorrere a Udanax per una biografia in formato e-book di Richard
M. Stallman, ma vista l'esistenza di simili capacità
tecnologiche, perché non offrire agli utenti la
possibilità di darsi da fare?[135]
Quando Laurie Petrycki, redattore incaricato del progetto
presso O'Reilly, mi propose la scelta tra la OPL e la GFDL, venni
nuovamente cullato da quella fantasia. A settembre 2001, in
occasione della firma del contratto, i libri elettronici erano
divenuti pressoché lettera morta. Numerose case editrici,
inclusa quella in cui lavorava Tracy, stavano chiudendo le
relative collane per mancanza d'interesse. Sorse spontanea la
domanda: se gli editori avessero trattato gli e-book non come un
formato editoriale bensì in quanto possibilità mirata
alla costruzione di una comunità, forse il libro elettronico
sarebbe riuscito a sopravvivere?
Dopo aver firmato il contratto, informai Stallman della
ripresa del progetto. Nominai la scelta offertami da O'Reilly tra
la Open Publication License e la GNU Free Documentation License,
aggiungendo di propendere per la prima, anche soltanto
perché non vedevo motivo per offrire ai concorrenti di
O'Reilly la possibilità di stampare l'identico libro con una
copertina diversa. Stallman replicò a favore della GFDL,
notando come lo stesso O'Reilly l'avesse già usata parecchie
volte in passato. Nonostante quanto accaduto l'anno precedente,
proposi un patto. Avrei scelto la GFDL se in cambio Stallman si
fosse dichiarato disponibile a ulteriori interviste, oltre a
garantire una certa pubblicità al libro di O'Reilly. Egli si
dichiarò d'accordo sul primo punto, ma la sua partecipazione
a eventi promozionali sarebbe dipesa dal contenuto finale del
volume. Considerandola una posizione corretta, organizzai
un'intervista per il 17 dicembre 2001 a Cambridge.
L'intervista coincideva con un viaggio d'affari di mia moglie
Tracy a Boston. Due giorni prima di partire, Tracy mi
suggerì d'invitare Stallman fuori a cena. “Dopo
tutto”, disse, “è stato lui a farci
incontrare”.
Gli mandai una e-mail, alla quale replicò prontamente
accettando l'invito. Il giorno seguente guidai fino a Boston,
incontrai Tracy in albergo e poi saltammo sul tram T per
raggiungere il MIT. Arrivati nell'edificio di Tech Square,
bussando alla porta di Stallman lo trovammo nel bel mezzo di una
conversazione.
“Spero non ci siano problemi”, disse mentre apriva
la porta quel tanto che bastava perché io e Tracy notassimo
la presenza della controparte. Si trattava di una ragazza, direi
sui 25 anni, di nome Sarah.
“Mi sono preso la libertà di invitare qualcun altro
a cena con noi”, spiegò Stallman offrendomi lo stesso
sorriso felino di quella volta al ristorante di Palo Alto.
A dire il vero, non ne rimasi troppo sorpreso. Qualche
settimana prima avevo saputo della sua nuova amica, una notizia
passatami da sua madre. “Anzi, il mese scorso sono andati
insieme in Giappone, quando Richard vi si recò per ritirare
il premio della Takeda”, mi informò allora la signora
Lippman[136].
Mentre andavamo al ristorante, appresi le circostanze del
primo incontro tra Sarah e Richard. Fatto curioso, si trattava di
uno scenario assai familiare. Sarah stava scrivendo un romanzo, e
aveva sentito parlare di Stallman e di quanto fosse un tipo
interessante. Decise subito di creare un personaggio che gli
assomigliasse e, nello sviluppo del lavoro di ricerca,
organizzò un'intervista dal vivo. Da qui le cose presero
rapidamente un'altra piega. Era dall'inizio del 2001 che si
frequentavano assiduamente, aggiunse Sarah.
“Ammiro molto il modo in cui Richard è riuscito a
costruire un vero e proprio movimento politico muovendo da una
questione profondamente individuale”, disse per spiegare la
sua attrazione per Stallman.
Mia moglie rilanciò immediatamente la domanda: “Di
quale questione si trattava?”
“Come sconfiggere la solitudine.”
Durante la cena lasciai gestire la conversazione alle donne,
passando invece gran parte del tempo a seguire eventuali indizi
per aiutarmi a stabilire se gli ultimi 12 mesi avessero
ammorbidito Stallman in maniera significativa. Non notai nulla a
sostegno di questa tesi. Anche se più civettuolo di quanto
ricordassi – lo confermavano tra l'altro le molte volte che
gli occhi Stallman sembrarono incantarsi sul seno di mia moglie
– non mi apparve meno pungente di prima. Ad un certo punto,
Tracy si lasciò andare ad un enfatico “Dio ce ne
scampi!”, solo per ricevere un tipico rimprovero di
Stallman.
“"Mi spiace fartelo notare, ma Dio non esiste”,
ribatté.
Più tardi, a cena conclusa e senza più Sarah,
Stallman sembrò abbassare un po' la guardia. Camminando
verso una libreria nei pressi, ammise che gli ultimi 12 mesi
avevano drasticamente cambiato le sue prospettive sul futuro.
“Credevo di dover essere costretto a vivere da solo”,
disse. “Sono contento di essermi sbagliato.”
Prima di lasciarci, Stallman mi allungò la sua
“pleasure card”, un biglietto da visita completo di
indirizzo, numero di telefono e passatempi preferiti
(“condividere un bel libro, la buona cucina, la musica e le
danze esotiche”), in modo da poter organizzare
un'intervista conclusiva.
Il giorno dopo, davanti a un altro piatto di dim sum, Stallman parve ancora
più ammiccante della sera precedente. Ricordando quelle
discussioni nel dormitorio della Currier House sui pro e i contro
di un ipotetico filtro dell'immortalità, espresse la
speranza che un giorno qualche scienziato potesse scoprirne la
formula. “Ora che finalmente sto iniziando ad assaporare la
felicità in vita mia, vorrei averne ancora”,
spiegò.
Quando gli menzionai la battuta di Sarah su “come
sconfiggere la solitudine”, Stallman non riuscì a
notare la connessione tra la solitudine a livello fisico o
spirituale e quella di un hacker. “L'impulso a condividere
il codice è basato sull'amicizia, ma in un ambito di gran
lunga inferiore”, sostenne. Ma in seguito, quando la
questione non tardò a ripresentarsi, dovette ammettere che
la solitudine, o meglio, la paura della solitudine eterna, aveva
giocato un ruolo di primo piano nella sua determinazione ad
andare avanti nella prima fase del progetto GNU.
“Il fascino del computer non rappresentava nulla di
esterno”, spiegò. “Non ne sarei rimasto meno
ammaliato anche se fossi stato una persona famosa oppure se
avessi avuto frotte di donne intorno a me. È però
certamente vero che l'esperienza di non avere avuto una casa,
trovarne una e perderla, poi trovarne un'altra e vedersela
distruggere, tutto ciò mi colpì profondamente. Quella
perduta fu il dormitorio, quella distrutta il laboratorio di
intelligenza artificiale. La precarietà di non poter fare
affidamento su alcun tipo di casa o di comunità,
provocò pesanti conseguenze. Mi spinse a combattere per
riconquistare tutto ciò.”
Dopo l'intervista, non potei fare a meno si provare una
sensazione di simmetria emotiva. Ascoltando prima Sarah
descrivere quel che l'aveva attratta a Stallman e poi
quest'ultimo esprimere le emozioni che lo avevano spinto ad
abbracciare la causa del software libero, mi vennero in mente le
motivazioni alla base di questo libro. Fin dal luglio 2000 avevo
imparato ad apprezzare sia il lato seducente sia quello
sgradevole della sua persona. Come già Eben Moglen prima di
me, ritengo che liquidare tali aspetti come marginali o
fuorvianti rispetto al movimento del software libero nel suo
complesso rappresenterebbe un grave errore. Per molti versi i due
lati dipendono l’uno dall’altro, tanto da risultare
pressoché indistinguibili.
Pur nella consapevolezza che non tutti i lettori proveranno la
stessa affinità con Stallman – può darsi anzi che
per qualcuno, dopo aver letto il libro, tale affinità si
riduca a zero – sono sicuro che la maggioranza sia
d'accordo con me. Esistono poche persone al mondo capaci di
offrire un ritratto umano come quello di Richard M. Stallman.
È mia sincera speranza che, portata a termine la mia
descrizione e grazie all'aiuto della GFDL, qualcun altro
sentirà un desiderio analogo di aggiungere il proprio punto
di vista a questo ritratto.