2001:
Odissea di un hacker
Il dipartimento d’informatica della New York University
si trova all’interno della Warren Weaver Hall, edificio
simile a una fortezza situato due isolati a destra dopo
Washington Square Park. Una serie di condotte di dimensioni
industriali per l’aria condizionata creano
tutt’intorno una cortina di aria calda, scoraggiando la
presenza di fannulloni e questuanti. I visitatori che riescono a
superare quella cortina si trovano davanti a un’altra
formidabile barriera, il bancone con gli addetti alla sicurezza,
posto immediatamente nell’atrio dell’unico ingresso
all’edificio.
Superati i controlli, l’atmosfera si fa un po’
più rilassata. Eppure colpiscono i numerosi cartelli sparsi
lungo tutto il primo piano che informano sui pericoli di porte
poco sicure e sulle uscite d’emergenza in caso
d’incendio. Considerati nel loro insieme, quegli avvisi
implicano un ammonimento preciso: perfino nel contesto
relativamente tranquillo della New York precedente l’11
settembre 2001, nessuno può dirsi troppo prudente o
sospettoso.
Uno scenario che si pone come stimolante contraltare al
crescente numero di visitatori che va raccogliendosi
nell’atrio interno. Alcuni paiono studenti della stessa
università. La maggior parte sembra come raccolta davanti
all’ingresso di un locale notturno nell’attesa di un
eccitante concerto. Per una breve mattinata, le masse hanno
conquistato la Warren Weaver Hall, lasciando gli addetti alla
sicurezza con null’altro da fare se non seguire la TV e
indicare con una scrollata di spalle l’adiacente auditorium
ogni volta che qualcuno chiede qualcosa sul
“discorso”.
Una volta all’interno dell’auditorium, ci si trova
davanti a colui che ha imposto questa temporanea chiusura delle
procedure di sicurezza nell’edificio. Si tratta di Richard
M. Stallman, fondatore del progetto GNU, presidente fondatore
della Free Software Foundation, vincitore nel 1990 della
MacArthur Fellowship, del premio Grace Murray Hopper assegnato
(nello stesso anno) dalla Association of Computing Machinery,
nonché nel 2001 co-vincitore del premio Takeda della Takeda
Foundation, e già hacker presso il laboratorio di
intelligenza artificiale. Come annunciato su una schiera di siti
web del mondo hacker, incluso quello dello stesso progetto GNU
(http://www.gnu.org),
Stallman si trova a Manhattan, suo luogo di nascita, per tenere
un atteso intervento in replica alla recente campagna lanciata
dalla Microsoft Corporation contro la GNU General Public
License.
Tema del discorso di Stallman è la storia e il futuro del
movimento del software libero. Significativo il luogo prescelto:
meno di un mese addietro, il senior vice president di Microsoft,
Craig Mundie, era intervenuto alla vicina Stern School of
Business della New York University mirando a distruggere la
General Public License, anche nota come GPL, documento legale
elaborato da Stallman 16 anni prima. Messa a punto per ribattere
alla crescente ondata di segretezza sul software che stava
conquistando l’industria informatica – ondata di cui
Stallman si rese conto per la prima volta nel corso degli anni
’80 con i problemi relativi alla stampante laser della
Xerox – la GPL si era evoluta in uno strumento essenziale
per la comunità del software libero. In sintesi, la GPL
vincola i programmi software a una sorta di proprietà
collettiva – quello che oggi gli studiosi di diritto vanno
definendo come “bene comune digitale” – facendo
leva sul peso legale del copyright. Una volta vincolati, i
programmi divengono inamovibili. Ogni loro versione successiva
deve contenere la medesima protezione sul copyright –
perfino quei programmi derivati che includono soltanto una
porzione minima del codice originario. Questo il motivo per cui
qualcuno nell’industria del software ha definito la GPL una
licenza “virale”, nel senso che si autoriproduce
all’interno di ogni software con cui viene a
contatto[2].
In un’economia dell’informazione sempre più
dipendente dal software e sempre più legata ai relativi
standard, la GPL è divenuta un punto di riferimento. Perfino
quelle aziende che una volta la schernivano definendola il
socialismo del software, sono state costrette a riconoscerne i
benefici.
Linux, il kernel in stile Unix sviluppato dallo studente
finlandese Linus Torvalds nel 1991, viene rilasciato sotto la
licenza GPL, al pari di gran parte degli strumenti di
programmazione più diffusi al mondo: GNU Emacs, GNU
Debugger, GNU C Compiler, ecc. Nel loro insieme, tali strumenti
rappresentano i componenti di un sistema operativo libero
sviluppato, mantenuto e posseduto dalla comunità hacker
mondiale. Anziché considerare quest’ultima come una
minaccia, grandi società informatiche quali IBM,
Hewlett-Packard e Sun Microsystems hanno deciso di appoggiarla,
commercializzando applicazioni e servizi realizzati per operare
appositamente all’interno dell’infrastruttura in
continua crescita del software libero.
Queste aziende vi fanno affidamento anche come arma strategica
nella guerra infinita intrapresa dalla comunità hacker
contro la Microsoft , che nel bene o nel male ha dominato il
mercato del software per PC fin dagli ultimi anni ’80. In
quanto proprietaria del popolare sistema operativo Windows, la
Microsoft è quella che rischia di più nel caso di un
passaggio alla licenza GPL in grande scala. Quasi ogni riga di
codice presente nel colosso Windows è protetta da copyright,
ad ulteriore conferma della natura privata dei sorgenti
sottostanti oppure, in ultima analisi, per riaffermare la
possibilità legale di trattarli in quanto tali. Dal punto di
vista di Microsoft, l’eventualità di incorporare
all’interno di tale colosso un qualche programma protetto
dalla “virale” GPL potrebbe essere paragonato a
Superman che inghiotte un intero flacone di pillole alla
Kryptonite. Le aziende rivali potrebbero immediatamente copiare,
modificare e vendere versioni migliorate di Windows, rendendo
vulnerabile all’istante la propria posizione di numero uno
tra i produttori di software nell’area consumer. Questo
spiega le crescenti preoccupazioni della società rispetto al
ritmo di adozione della GPL. Da qui il recente intervento di
Mundie contro la GPL e l’approccio “open
source” allo sviluppo e alla vendita di software e, di
conseguenza, la decisione odierna di Stallman di replicare
pubblicamente a quel discorso all’interno del medesimo
campus universitario.
Per l’industria del software, vent’anni non sono
poca cosa. Consideriamo questo: nel 1980, quando Richard Stallman
imprecava contro la stampante laser Xerox nel laboratorio di
intelligenza artificiale, la Microsoft, azienda considerata dagli
odierni hacker al primo posto nell’industria del software
mondiale, non era altro che una start-up privata. La IBM, azienda
fino ad allora considerata dagli hacker come la maggior potenza
della stessa industria, doveva ancora commercializzare il suo
primo personal computer, sulla cui scia sarebbe poi esploso un
mercato dai prezzi in costante ribasso. Gran parte delle
tecnologie oggi date per scontate – il World Wide Web, la
televisione via satellite, le console video a 32 bit – non
esistevano neppure. Lo stesso vale per molte di quelle
entità oggi ai primi posti nel firmamento della grande
imprenditoria statunitense, aziende quali AOL, Sun Microsystems,
Amazon.com, Compaq, Dell. E l’elenco potrebbe
continuare.
Il fatto che il mercato della tecnologia sia cresciuto in
maniera esponenziale in così poco tempo fornisce motivazioni
valide per entrambe le parti coinvolte nel dibattito sulla
GPL.
I sostenitori di quest’ultima sottolineano la vita
relativamente breve della maggior parte delle piattaforme
hardware. Davanti al rischio di acquistare un prodotto obsoleto,
i consumatori tendono a optare per quelle aziende che sembrano
vivere più a lungo. Di conseguenza il mercato è
divenuto una sorta di arena in cui chi vince piglia tutto[3].
L’odierno settore del software sotto proprietà
privata, affermano i sostenitori della GPL, conduce
all’abuso e alla stagnazione tipiche dei monopoli. Le
aziende più forti succhiano tutto l’ossigeno dal
mercato a danno dei diretti concorrenti e delle start-up
innovative.
Chi è contro la GPL sostiene esattamente l’opposto.
Vendere software è rischioso tanto quanto acquistarlo, se
non di più, ribadiscono costoro. In assenza delle garanzie
legali previste nelle licenze private, per non parlare delle
prospettive economiche susseguenti a una “killer
application” proprietaria (ovvero, una tecnologia
dirompente che apre un mercato del tutto nuovo)[4], le
aziende perdono incentivo a partecipare. Di nuovo, il mercato
andrebbe verso la stagnazione, e l’innovazione verso il
declino. Come ha fatto notare lo stesso Mundie nel suo intervento
del 3 maggio 2001 nel medesimo campus, la natura
“virale” della GPL “pone una minaccia” a
qualsiasi azienda che basa sull’unicità del software
il proprio vantaggio competitivo. Così Mundie:
Fondamentalmente la GPL mette in pericolo anche il settore
indipendente del software commerciale poiché rende
effettivamente impossibile una distribuzione in cui
l’acquirente sia chiamato a pagare per il prodotto
anziché soltanto per i costi di distribuzione[5].
Il reciproco successo sia di GNU/Linux, il sistema operativo
costruito intorno al kernel Linux e coperto da licenza GPL, sia
di Windows nel corso degli ultimi dieci anni rivela la
validità di entrambi i punti di vista. Tuttavia, la
battaglia appare di estrema importanza per l’intera
industria del software. Perfino potenti produttori come Microsoft
fanno affidamento sul sostegno di sviluppatori esterni i cui
strumenti, programmi e giochi rendono più attraente per il
consumatore medio la piattaforma sottostante, in questo caso
Windows. Citando la rapida evoluzione del mercato tecnologico nel
corso degli ultimi vent’anni, nonché
l’ammirevole record di crescita della propria azienda nello
stesso periodo, Mundie ha messo in guardia i presenti contro i
facili entusiasmi per i recenti successi del movimento del
software libero:
Due decenni di esperienza hanno dimostrato come un modello
economico capace di tutelare la proprietà intellettuale e un
modello commerciale in grado di recuperare gli stanziamenti per
la ricerca e lo sviluppo, siano in grado di creare notevoli
benefici economici e di distribuirli in maniera assai
ampia[6].
Questi gli ammonimenti che fanno da contraltare
all’odierno intervento di Stallman. A meno di un mese di
distanza da quel discorso, eccolo pronto a iniziare, in piedi, le
spalle a una lavagna, in un aula della New York University.
Se gli ultimi due decenni hanno portato enormi cambiamenti nel
mercato del software, quelli subìti dallo stesso Stallman
sono ancora più evidenti. È ormai scomparso
l’hacker smilzo e senza barba che una volta trascorreva
intere giornate a stretto contatto di gomito con l’amato
PDP-10. Al suo posto troviamo un uomo di mezza età, ben
piazzato, capelli lunghi e barba rabbinica, un uomo che oggi
trascorre gran parte del tempo a scrivere e rispondere a messaggi
e-mail, ad arringare i colleghi programmatori, a tenere
interventi pubblici come quello odierno. Con indosso una
maglietta color carta da zucchero e un paio di pantaloni marroni
di poliestere, Stallman sembra un eremita del deserto che ha
appena arraffato qualche vestito in un guardaroba
dell’Esercito della Salvezza.
La platea è piena di visitatori che ne condividono
abbigliamento e aspetto. Molti girano con computer portatili e
modem cellulari, onde poter registrare e trasmettere le parole di
Stallman al trepidante pubblico di Internet. Il rapporto tra i
presenti è all’incirca di 15 uomini per ogni donna, e
una delle 7-8 donne porta un pinguino di pezza, mascotte
ufficiale di Linux, mentre un’altra ha con sé un
orsacchiotto.
Nervoso, Stallman si sposta dal centro della sala e va a
sedersi su una sedia in prima fila, a digitare alcuni comandi su
un portatile già aperto. Per i dieci minuti successivi egli
è del tutto indifferente al crescente numero di studenti,
professori e appassionati che gli girano davanti ai piedi del
palco dell’auditorium.
Prima che il discorso possa avere inizio, occorre comunque
osservare il rituale barocco delle formalità accademiche. La
presenza di Stallman merita non una, bensì due introduzioni.
A Mike Uretsky, condirettore del Center for Advanced Technology
presso la Stern School, spetta la prima.
“Il ruolo di ogni università è quello di
stimolare il dibattito e produrre discussioni
interessanti”, inizia Uretsky. “Questa presentazione
in particolare, questo seminario rientra perfettamente in tale
contesto. Trovo di particolare interesse ogni contributo sul tema
dell’open source”.
Prima che possa aggiungere un’altra parola, Stallman
è in piedi che gesticola vivacemente come qualcuno rimasto
in panne sull’autostrada.
“Io mi occupo di software libero”, urla tra un
crescendo di risa. “L’open source è un movimento
diverso”.
Le risate si trasformano in applausi. La stanza è zeppa
di sostenitori di Stallman, gente che conosce bene la sua
reputazione di pignoleria verbale, per non parlare del suo
distacco, ampiamente pubblicizzato nel 1998, dai sostenitori del
software open source. Molti sono soliti attendere con fervore
simili uscite di Stallman, divenute una sorta di marchio di
fabbrica inconfondibile.
Uretsky chiude rapidamente l’introduzione per passare la
parola a Edmond Schonberg, docente del dipartimento
d’informatica della New York University. Programmatore e
collaboratore del progetto GNU, Schonberg conosce le trappole
linguistiche da evitare. Egli riassume per sommi capi la carriera
di Stallman secondo il punto di vista di un programmatore dei
nostri giorni.
“Richard incarna il perfetto esempio di qualcuno che,
operando a livello locale, ha iniziato a pensare globalmente [ai]
problemi relativi alla mancata disponibilità del codice
sorgente”, dice Schonberg. “Ha così sviluppato
una filosofia coerente che ha costretto tutti noi a riesaminare
le nostre concezioni sulla produzione del software, sul
significato della proprietà intellettuale e sul valore
concreto della comunità dei programmatori.”
Schonberg dà poi il benvenuto a Stallman in un crescendo
di applausi. In pochi istanti quest’ultimo spegne il
portatile, si alza dalla sedia e sale sul palco.
Inizialmente il discorso di Stallman richiama più un
repertorio teatrale che un intervento politico. “Vorrei
ringraziare la Microsoft per avermi offerto
l’opportunità di trovarmi in questa sede”,
così rompe il ghiaccio. “Nelle ultime settimane mi
sono sentito come uno scrittore i cui libri siano stati
accidentalmente vietati in qualche paese.”
Per i non iniziati, Stallman passa poi ad illustrare
rapidamente un’analogia per il software libero. Egli è
solito paragonare un programma a una ricetta di cucina. Entrambi
forniscono istruzioni dettagliate su come portare a compimento un
certo compito e possono essere facilmente modificati a seconda di
esigenze o circostanze individuali. “Non occorre seguire
alla lettera una ricetta”, fa notare Stallman. “Si
può omettere qualche ingrediente. Aggiungere un po’ di
funghi perché ci piacciono. Mettere meno sale perché
così ci ha consigliato il medico – e via di
seguito.”
Elemento ancor più rilevante, prosegue Stallman, è
la semplicità nel condividere sia ricette che programmi. Nel
passare la ricetta a un ospite, il cuoco non ci rimette altro che
il tempo e il costo della carta necessari per scrivere la
ricetta. Per il software occorre ancora meno, in genere basta
qualche clic del mouse e un minimo di elettricità. In
entrambi i casi, tuttavia, la persona che trasmette quelle
informazioni guadagna due cose: una maggiore amicizia e la
possibilità di ottenere in cambio altre ricette
interessanti.
“Immaginiamo cosa accadrebbe se le ricette fossero
rinchiuse all’interno di scatole nere”, prosegue
Stallman, cambiando registro. “Sarebbe impossibile vedere
gli ingredienti usati, per non parlare della possibilità di
modificarli; e chissà quali conseguenze nel farne una copia
per un amico. Saremmo bollati come pirati, processati e sbattuti
in galera per anni. Uno scenario che susciterebbe accese proteste
da parte di quanti amano scambiarsi ricette. Ma questo è
esattamente lo scenario dell’odierno software proprietario.
Un mondo in cui si proibiscono o impediscono azioni di comune
buon senso verso gli altri.”
Dopo quest’analogia introduttiva, Stallman si lancia nel
racconto dell’episodio della stampante laser Xerox. Come
nel caso delle ricette, anche questa vicenda è un utile
espediente retorico. Il racconto in forma di parabola evidenzia
la rapidità con cui le cose possono cambiare nel mondo del
software. Riportando i presenti al periodo precedente
all’acquisto con un solo clic del mouse ideato da
Amazon.com, all’esistenza di Windows o dei database di
Oracle, invita chi ascolta a esaminare la nozione di
proprietà del software, indipendentemente dall'esistenza
degli attuali marchi delle grandi corporation.
Stallman presenta il racconto con tutta l’arguzia e la
pratica di un pubblico ministero alle prese con l’arringa
finale. Quando arriva alla scena del professore alla Carnegie
Mellon che rifiuta di cedergli una copia dei sorgenti della
stampante, Stallman fa una pausa.
“Ci ha traditi”, prosegue. “Non soltanto ha
tradito tutti noi, ma anche te.”
Pronunciando quel “te” punta l’indice
accusatorio contro un insospettabile membro del pubblico. Costui
aggrotta le sopracciglia, ma lo sguardo di Stallman è andato
già oltre. In maniera lenta e deliberata, sceglie qualcun
altro in platea che sta per accennare una risatina nervosa.
“E molto probabilmente ha fatto lo stesso con te”,
insiste indicando stavolta una persona seduta tre file dietro la
prima.
Quando Stallman ripete la scena per la terza volta, le
risatine si sono trasformate in una risata generale. Il tutto
appare un tantino teatrale, così è infatti. E al
momento di concludere la storia della stampante, Stallman si
esibisce come un attore consumato. “Probabilmente ha
tradito la maggior parte delle persone riunite in questa sala
– eccetto forse alcuni che nel 1980 non erano ancora
nati”, conclude Stallman, suscitando risate ulteriori.
“[Questo] perché aveva promesso di rifiutare ogni
collaborazione praticamente con l’intera popolazione del
pianeta Terra.”
E dopo una pausa a effetto per lasciar sedimentare i commenti,
aggiunge: “Aveva firmato un contratto di non
divulgazione.”
Il passaggio di Richard Matthew Stallman da accademico
frustrato a leader politico nel corso degli ultimi
vent’anni è testimonianza di diversi elementi
importanti: la sua natura testarda e la volontà prodigiosa,
una visione ben articolata dei valori di quel movimento per il
software libero che ha aiutato a costruire. Testimonia inoltre
dell’alta qualità dei programmi da lui realizzati,
programmi che ne hanno consolidato la reputazione come una
leggenda nell’ambito della programmazione. E rivela
altresì il crescente successo della GPL,
un’innovazione legale che molti osservatori considerano il
suo contributo più valido.
Fatto sicuramente più importante, tale passaggio mette in
luce il mutamento del potere politico in un mondo sempre più
dipendente dalla tecnologia informatica e dal software su cui
questa poggia.
Forse è questo il motivo per cui, anche di fronte al
declino di buona parte delle stelle high-tech, la fama di
Stallman sia andata invece crescendo. Fin dal lancio del progetto
GNU nel 1984[7], egli è stato di volta in
volta ignorato, ridicolizzato, denigrato e attaccato – sia
all’interno sia all’esterno del movimento del
software libero. In tutto ciò, quel progetto è riuscito
a raggiungere successi importanti, pur se con i notori ritardi,
acquistando un ruolo rilevante in un mercato infinitamente
più complesso di quello in cui egli era entrato 18 anni fa.
Analoga l’evoluzione seguita dall'ideologia del software
libero, un'ideologia meticolosamente coltivata dallo stesso
Stallman.
Per comprendere le motivazioni che sottendono
all’attuale scenario, potrà giovare un’analisi
del personaggio sia tramite le sue parole sia tramite quelle di
chi ha collaborato e combattuto al suo fianco fino a oggi. Non
sembra certo complicato tracciarne un ritratto. Se c’è
una persona che può incarnare il vecchio adagio, “quel
che vedi è quello che ottieni[8]”, questi
è Stallman.
“Credo che per comprendere Richard Stallman in quanto
essere umano, bisogna considerarne le varie componenti come un
insieme coerente”, mette sull’avviso Eben Moglen,
consigliere legale per la Free Software Foundation e professore
di legge presso la Columbia University Law School. “Tutte
quelle espressioni di eccentricità personale che molta gente
percepisce come ostacoli alla conoscenza di Stallman, in
realtà ne costituiscono l’essenza: il suo forte senso
di frustrazione, l’enorme attaccamento ai principi etici,
l’incapacità di scendere a compromessi, soprattutto su
questioni che considera fondamentali. Ecco le ragioni concrete
per cui Richard ha fatto ciò che fatto quando lo ha
fatto.”
È tutt’altro che semplice spiegare come mai un
viaggio iniziato con una stampante laser sia poi sfociato in uno
scontro aperto con le più ricche corporation del mondo. Una
spiegazione che richiede un’attenta disamina di quelle
forze le cui spinte hanno reso la proprietà del software un
elemento così importante nella società odierna. Impone
altresì un’accurata analisi dell’uomo che, al
pari di altri leader politici a lui precedenti, sa far propria la
malleabilità della memoria umana. Esige inoltre la
capacità di interpretare i miti e la terminologia, con le
relative valenze politiche, costruite intorno a Stallman con
l’andar del tempo. Richiede infine la comprensione della
sua genialità in quanto programmatore, di pari passo con
fallimenti e successi nel trasferire tale genialità in altri
contesti.
Chiamato ad offrire una sintesi soggettiva del proprio
cammino, Stallman conferma quella fusione tra personalità e
principi già sottolineata da Moglen. “La mia prima
caratteristica è la testardaggine”, conferma.
“La maggior parte di quanti s’imbarcano in progetti
di grande difficoltà finiscono per perdere coraggio e
abbandonare. Io sono uno che non molla mai.”
Né manca di ammettere l’importanza della pura
coincidenza. Se non fosse stato per quell’incontro con la
stampante Xerox, se non fosse stato per i conflitti politici e
personali che gli chiusero carriera alle dipendenze del MIT, se
non fosse stato per una mezza dozzina di altri fattori capitati
al momento giusto, Stallman riesce facilmente ad immaginarsi
lungo un percorso professionale assai diverso. Ciò detto,
però, ringrazia le forze e le circostanze che lo hanno
portato a ricoprire una posizione in cui può davvero
cambiare le cose.
“È capitato che avessi le capacità
adatte”, insiste Stallman, riassumendo per i presenti la
decisione di lanciare il progetto GNU. “Non c’era
nessuno eccetto il sottoscritto, allora mi son detto, ‘Sono
un eletto. Devo lavorare su questo fronte. Se non io, chi
altri?’”