Nel 1993 il movimento del software libero si trovò a un
bivio. Per chi era incline all’ottimismo, tutti i segnali
sembravano confermare il successo della cultura hacker. Wired, nuovo mensile
specializzato centrato su tematiche quali la crittografia, Usenet
e la libertà nel software, andava letteralmente a ruba.
Internet, una volta termine confinato al gergo di hacker e
ricercatori, si era fatto strada nel lessico comune. Veniva usato
perfino dal presidente Clinton. Il personal computer, un tempo
giocattolo per hobbysti, aveva guadagnato una diffusa
rispettabilità, garantendo a un’intera generazione di
nuovi utenti l’accesso ai programmi realizzati dagli
hacker. E anche se il progetto GNU non era ancora riuscito a
raggiungere l’obiettivo di un sistema operativo completo di
software libero, i più curiosi potevano intanto provare
Linux.
Sotto qualunque punto di vista, le notizie erano di segno
positivo, o almeno così sembrava. Dopo un decennio di
stenti, gli hacker e i loro valori stavano finalmente ottenendo
il riconoscimento della società. La gente iniziava a
comprenderli.
Ma stavano davvero così le cose? Per i pessimisti, ogni
segno di accettazione implicava una contropartita negativa.
Certo, improvvisamente essere un hacker faceva moda, ma la cosa
poteva considerarsi positiva per una comunità cresciuta
nell’alienazione? Sicuro, la Casa Bianca andava tessendo le
lodi di Internet, spingendosi al punto di registrare un proprio
dominio, whitehouse.gov, ma al contempo prendeva accordi con
l’imprenditoria, i fautori della censura e i rappresentanti
delle forze dell’ordine nel tentativo di addomesticare la
cultura da Far West imperante su Internet. Chiaro, i PC offrivano
una potenza sempre maggiore, ma con la trasformazione dei chip in
bene di consumo, Intel aveva creato una situazione in cui il
potere si era semplicemente trasferito nelle mani dei rivenditori
di software proprietario.
Per ogni nuovo utente conquistato alla causa del software
libero tramite Linux, ne esistevano centinaia, forse migliaia,
che avviavano Windows per la prima volta.
Occorreva infine fare i conti con la curiosa natura dello
stesso Linux. Superati in scioltezza problemi di progetto (come
accaduto a GNU) e dispute legali (era il caso della BSD), la
rapida evoluzione del sistema risultò talmente imprevista,
il suo successo così casuale che gli stessi programmatori
più addentro nel codice non sapevano che cosa farne.
Più simile a una “compilation” che a un vero e
proprio sistema operativo, Linux era composto dai pezzi migliori
del repertorio hacker: si andava da GCC, GDB e glibc (la nuova
libreria in C realizzata dal progetto GNU) fino a X (interfaccia
grafica per gli utenti basata su Unix, sviluppata presso il
laboratorio d’informatica del MIT) e ad altri strumenti
creati dal giro BSD, quali BIND (il Berkeley Internet Naming
Daemon, che consente la sostituzione di domini Internet facili da
ricordare al posto degli indirizzi IP numerici) e TCP/IP. La
colonna portante della creazione era naturalmente il kernel -- a
sua volta versione rivisitata e super-potenziata di Minix.
Anziché costruire il sistema operativo partendo da zero,
Torvalds e l’annesso gruppo di sviluppo in rapida
espansione avevano seguito il vecchio adagio di Picasso, “i
buoni artisti prendono in prestito, i grandi rubano”.
Oppure, come Torvalds stesso interpreterà più tardi la
frase, descrivendo il segreto del proprio successo:
“Sostanzialmente sono una persona molto pigra a cui piace
prendersi il merito di quello che in realtà ha fatto qualcun
altro”.[105]
Una simile pigrizia, pur se ammirabile dal punto di vista
dell’efficienza, risultò problematica dal punto di
vista politico, poiché sottolineava in primo luogo la
mancanza di un programma ideologico da parte di Torvalds. Al
contrario degli sviluppatori GNU, egli non si era cimentato nella
realizzazione di un sistema operativo spinto dal desiderio di
offrire ai colleghi hacker uno strumento per lavorare;
l’aveva fatto per giocarci lui stesso. Come Tom Sawyer, che
imbiancava uno steccato grazie all’aiuto altrui, il genio
di Torvalds stava meno nella visione complessiva e più nella
capacità di coinvolgere altri hacker per accelerare il
processo.
Il fatto che Torvalds, assieme ai suoi, fosse riuscito laddove
altri avevano fallito suscitava domande scomode: che cosa
rappresentava esattamente Linux? Si poteva forse considerare la
manifestazione di quella filosofia del software libero articolata
per primo da Stallman nel Manifesto GNU? O era semplicemente un
amalgama di buoni programmi che qualunque utente, ugualmente
motivato, avrebbe potuto assemblare sul proprio sistema
casalingo?
Verso la fine del 1993, un numero crescente di utenti Linux
iniziavano a propendere verso quest’ultima ipotesi, dando
così vita a variazioni private sul tema. Si fecero anche
abbastanza coraggiosi da imbottigliare e rivendere le proprie
varianti -- o “distribuzioni” -- ad altri
appassionati di Unix. Con risultati a dir poco alterni.
“Non si profilava ancora all’orizzonte
l’arrivo di Red Hat e delle altre distribuzioni
commerciali”, ricorda Ian Murdock, allora studente
d’informatica presso la Purdue University.
“Sfogliando qualche rivista dedicata al mondo Unix ci si
imbatteva in tutti quegli annunci formato biglietto da visita che
pubblicizzavano ‘Linux’. Gran parte delle aziende si
dedicavano a quelle operazioni nottetempo, non vedendo nulla di
sbagliato nell’integrazione del prodotto finale con qualche
stringa di codice realizzato in proprio.”
Murdock, programmatore Unix, rammenta di essere rimasto
“travolto” da Linux poco tempo dopo averlo prelevato
e installato per la prima volta sul PC di casa. “Era
davvero divertente”, sostiene. “Decisi subito di
farmi coinvolgere.” Un entusiasmo che tuttavia iniziò
a smorzarsi per via di quell’esplosione di distribuzioni
malamente realizzate. Avendo deciso che il modo migliore di farsi
coinvolgere consisteva nel costruirne una versione priva di
additivi, Murdock buttò giù un elenco dei migliori
strumenti di software libero disponibili con l’intento di
inserirli nella distribuzione personale. “Volevo qualcosa
che fosse davvero all’altezza del nome Linux”, spiega
Murdock.
Nel tentativo di “suscitare qualche interesse”,
illustrò le proprie intenzioni in vari ambiti su Internet,
compreso il newsgroup di Usenet comp.os.linux. Uno dei primi
messaggi di risposta giunse da rms@ai.mit.edu. Da buon hacker
Murdock riconobbe immediatamente quell’indirizzo. Si
trattava di Richard M. Stallman, fondatore del progetto GNU,
colui che da sempre egli considerava “l’hacker degli
hacker”. Notando l’indirizzo nella posta in arrivo,
ne rimase sconcertato. Perché mai Stallman, già leader
di un progetto personale per un sistema operativo, avrebbe dovuto
interessarsi alle idee di Murdock per Linux?
“Il messaggio diceva che la Free Software Foundation
seguiva da vicino la crescita di Linux ed era interessata alla
possibile realizzazione di un sistema analogo. In pratica,
considerava i nostri obiettivi in linea con la loro
filosofia.”
Quel messaggio rappresentava un completo dietro-front da parte
di Stallman. Fino al 1993 si era accontentato di tenere il naso
fuori dagli affari della comunità Linux. Anzi, nel 1991
aveva completamente ignorato il sistema operativo rinnegato in
occasione della sua prima apparizione sullo scenario della
programmazione Unix. Dopo aver ricevuto la prima notifica di un
sistema operativo simile a Unix in grado di girare su PC,
Stallman disse di aver delegato a un amico il compito di
esaminarlo. Ricorda Stallman: “Mi fu poi spiegato che il
software era modellato sulla base del System V, una versione
inferiore di Unix, e che non poteva essere adattato ad altre
piattaforme”.
Il rapporto dell’amico era corretto. Costruito per
girare su macchine basate sul 386, Linux era fermamente radicato
in quelle piattaforme a basso costo. Quel che l’amico
mancò di segnalare, tuttavia, fu il notevole vantaggio che
Linux godeva in quanto unico sistema operativo liberamente
modificabile presente sul mercato. In altri termini, mentre
Stallman trascorse i tre anni successivi ad ascoltare i problemi
riportati dal gruppo che lavorava su HURD, Torvalds andava
conquistandosi quei programmatori che in seguito avrebbero
rivisitato il sistema così da adattarlo ad altre
piattaforme.
Nel 1993, l’incapacità del progetto GNU di produrre
un kernel funzionante causò problemi all’interno sia
dello stesso progetto sia del movimento del software libero
più in generale. Nel marzo di quell’anno un articolo a
firma Simson Garfinkel apparso sul mensile Wired descriveva il progetto GNU
come “impantanato”, nonostante il successo dei
numerosi strumenti realizzati fino a quel momento.[106]
Quanti operavano all’interno del progetto e
dell’annessa struttura non-profit, la Free Software
Foundation, ricordano uno stato d’animo ancora più
abbattuto di quanto non trasparisse nell’articolo di
Garfinkel. “Personalmente in quel periodo ero consapevole
dell’esistenza di una finestra di opportunità per
l’introduzione di un nuovo sistema operativo”,
sostiene Chassell. “Ma una volta richiusa tale finestra, la
gente avrebbe perso interesse. Fu esattamente quel che
accadde.”[107]
Molto si è detto sui guai che afflissero il progetto GNU
nel periodo 1990-1993. Mentre qualcuno getta ogni colpa su
Stallman, secondo Eric Raymond, tra i primi aderenti al gruppo di
lavoro sull’Emacs GNU e successivamente critico nei
confronti dello stesso Stallman, si trattò chiaramente di un
problema istituzionale. “La FSF divenne arrogante”,
afferma Raymond. “L’obiettivo della sua attività
si spostò dalla realizzazione di un sistema operativo pronto
per la produzione alle ricerche sui sistemi possibili.”
Ancor peggio, “credeva che nulla di quanto avveniva al di
fuori avrebbe mai potuto toccarla”.
Murdock, persona meno interessata alle faccende interne del
progetto GNU, offre una prospettiva più giudiziosa.
“Credo che in parte del problema fosse che erano diventati
un po’ troppo ambiziosi e avevano buttato via inutilmente
un sacco di soldi”, sostiene Murdock. “A cavallo tra
gli anni '80 e '90 andavano forte i micro-kernel. Purtroppo
questo ha coinciso con l’avvio del loro sistema operativo.
Alla fine si trovarono sotto il peso di un bagaglio
eccessivamente pesante e sarebbe occorso troppo lavoro per
disfarsene.”
Per spiegare il ritardo, Stallman cita una serie di questioni.
Le azioni legali della Lotus e della Apple si rivelarono delle
distrazioni politiche che, unite all’impossibilità di
digitare da parte sua, gli resero difficile aiutare coloro che
lavoravano su HURD. Menziona inoltre lo scarso livello di
comunicazione tra le varie aree del progetto GNU. “Fu
davvero duro far funzionare l’ambiente del
‘debugging’”, ricorda. “E le persone che
a quel tempo gestivano il GDB sembravano restie a
cooperare.” Tuttavia Stallman ritiene che per lo più
si trattò di un errore di valutazione da parte di tutti i
membri del progetto, lui compreso, sulle difficoltà insite
nell’espansione del micro-kernel Mach in un kernel Unix a
tutto tondo.
“Pensavo: bene, la parte [del Mach] che deve comunicare
con la macchina ha già superato la fase di debugging”,
così Stallman ricorda in un discorso del 2000 i problemi
della squadra di lavoro su HURD. “Grazie a
quest’avvio veloce, dovremmo farcela in fretta. E invece
successe che il debugging di questi programmi asincroni
multithread si dimostrò assai complicato. C’erano bug
di tempificazione che massacravano i file; non è stato molto
piacevole. Di conseguenza ci vollero molti, molti anni per
produrre una versione buona da sottoporre al primo vero
test.”[108]
Qualunque sia il motivo, o i motivi, il concomitante successo
del gruppo del kernel Linux non fece altro che accentuare una
situazione già tesa. Certo, quel kernel era stato diffuso
sotto la licenza GPL ma, come fece notare lo stesso Murdock, la
volontà di considerare Linux come un sistema operativo di
puro software libero era tutt’altro che unanime. Verso la
fine del 1993, la popolazione totale degli utenti Linux da una
dozzina o poco più di entusiasti del Minix aveva raggiunto
una cifra compresa tra le 20.000 e le 100.000 unità.[109]
Quello che una volta pareva poco più di un hobby stava
trasformandosi in un mercato pronto per essere sfruttato. Al pari
di Winston Churchill che osservava le truppe sovietiche entrare a
Berlino, Stallman provò un comprensibile miscuglio di
emozioni quando giunse il momento di celebrare la
“vittoria” di Linux.[110]
Pur se in ritardo per partecipare alla festa, Stallman
esercitava ancora parecchia influenza. Non appena la FSF
annunciò il prestito di denaro e sostegno morale al progetto
di Murdock, piovvero altre offerte di supporto. Murdock
chiamò il nuovo progetto Debian -- contrazione del suo nome
e di quello della moglie, Deborah -- e nel giro di un paio di
settimane la prima distribuzione era cosa fatta. “Quasi da
un giorno all’altro, [il sostegno di Richard]
catapultò Debian da quel piccolo progetto interessante a
qualcosa cui l’intera comunità doveva prestare
attenzione”, spiega Murdock.
Nel gennaio 1994, egli diffuse il “Manifesto
Debian”. Redatto nello spirito del “Manifesto
GNU” stilato da Stallman un decennio prima, sottolineava
l’importanza di lavorare a stretto contatto con la Free
Software Foundation. Scriveva Murdock:
La Free Software Foundation gioca un ruolo estremamente vitale
nel futuro di Debian. Per il semplice fatto che la stessa ne
curerà la distribuzione, viene trasmesso al mondo il
messaggio che Linux non è un prodotto commerciale e mai
dovrebbe diventarlo, ma ciò non significa che non sarà
mai in grado di competere in ambito commerciale. Invito chi non
fosse d’accordo a razionalizzare il successo di GNU Emacs e
GCC, i quali, pur non rientrando nell’ambito del software
commerciale, hanno comunque avuto un forte impatto sul
mercato.
È giunto il momento di concentrarsi sul futuro di Linux
anziché sull’obiettivo distruttivo di arricchirsi alle
spese dell’intera comunità Linux e del suo futuro.
Può darsi che lo sviluppo e la distribuzione di Debian non
siano la risposta ai problemi delineati in questo Manifesto, ma
spero che finiranno almeno per attirare sufficiente attenzione su
tali problemi in modo che sia possibile risolverli
positivamente.[111]
Poco dopo la diffusione del Manifesto, la Free Software
Foundation avanzò la prima importante richiesta. Stallman
voleva che Murdock chiamasse la sua distribuzione
“GNU/Linux”. All’inizio, sostiene Murdock,
Stallman aveva proposto il termine “Lignux” --
“ossia Linux con GNU al centro” -- ma una rapida
verifica su Usenet e in diversi ambiti hacker avevano suscitato
un tale subisso di fischi da convincere Stallman a optare per il
meno bizzarro GNU/Linux.
Anche se qualcuno ha bollato quel tentativo di aggiungere il
prefisso “GNU” come una tardiva richiesta di
riconoscimento, Murdock lo intese in maniera diversa.
Ripensandoci, egli lo vide come uno sforzo per allentare la
crescente tensione tra il progetto GNU e gli sviluppatori del
kernel Linux. “Si andava delineando una divisione”,
rammenta Murdock. “E Richard ne era chiaramente
preoccupato.”
La divisione più profonda, aggiunge Murdock, riguardava
glibc. Acronimo per GNU C Library, glibc è il pacchetto che
consente ai programmatori di fare delle “chiamate di
sistema” direttamente al kernel. Nel periodo 1993-1994,
glibc si rivelò un problematico collo di bottiglia nello
sviluppo di Linux. Considerato l’elevato numero di nuovi
utenti decisi ad aggiungere nuove funzioni al kernel, i gestori
glibc all’interno del progetto GNU si trovarono rapidamente
sommersi dai loro suggerimenti. Frustrati dai ritardi e dalla
crescente reputazione del progetto GNU di essere una palla al
piede, alcuni sviluppatori Linux proposero la creazione di un
“fork” -- ovvero, di una C Library specifica per
Linux e parallela a glibc.
Nel mondo hacker, i “fork” costituiscono un
fenomeno interessante. Nonostante l’etica hacker consenta a
ogni programmatore di fare quel che vuole con il codice di un
certo programma, la maggioranza degli hacker preferisce inserire
le proprie innovazioni all’interno di un file centrale o
“tree” (albero) per assicurarne la compatibilità
con i programmi altrui. Operare il “fork” di glibc in
questo primo stadio dello sviluppo di Linux avrebbe significato
perdere il contributo di centinaia, se non forse migliaia, di
sviluppatori. Il che avrebbe inoltre ampliato
l’incompatibilità tra Linux e il sistema GNU che
Stallman e gli altri del gruppo GNU speravano ancora di
realizzare.
In qualità di leader del progetto GNU, nel 1991 Stallman
aveva già sperimentato i nefasti effetti di un
“fork”. Un gruppo di sviluppatori Emacs, che
lavoravano per un’azienda chiamata Lucid, rimasero
indispettiti dal suo rifiuto di re-integrare i loro cambiamenti
nel codice di GNU Emacs. Il relativo “fork” diede
così vita a una versione parallela, Lucid Emacs, provocando
pesanti ripercussioni.[112]
Murdock spiega che Debian stava portando a un analogo
“fork” nel codice di glibc, così da motivare
Stallman a insistere per l’aggiunta del prefisso GNU quando
Debian fu pronto per la distribuzione. “Gradatamente la
situazione venne ricomposta. Eppure in quel periodo la
preoccupazione era che la comunità Linux si considerasse
qualcosa di diverso da quella GNU, e ciò poteva sfociare in
una netta spaccatura.”
Stallman conferma il ricordo di Murdock. Aggiunge anzi che si
andavano profilando dei “fork” tutte le più
importanti componenti di GNU. All’inizio sostiene di aver
considerato tali “fork” come vino prodotto da uva
acerba. Contrariamente alle dinamiche rapide e informali del
gruppo al lavoro sul kernel Linux, coloro che mantenevano il
codice GNU tendevano a una maggiore lentezza e circospezione
nell’inserire cambiamenti che avrebbero potuto danneggiare
le prestazioni del programma a lungo termine. Non dimostravano
inoltre alcuna remora a criticare pesantemente il codice altrui.
Col passar del tempo, tuttavia, Stallman iniziò a percepire
nelle e-mail degli sviluppatori Linux una certa mancanza di
considerazione per il progetto GNU e i suoi obiettivi.
“Avevamo scoperto che coloro che si consideravano utenti
Linux non erano interessati al progetto GNU”, sostiene
Stallman. “Dicevano, ‘Perché mai dovrei
impegnarmi a perseguire queste mete? Non m’importa nulla
del progetto GNU. Per me funziona. E se funziona per me e per gli
altri utenti Linux, non ci interessa altro’. E questo
sorprendeva, considerando che essi usavano una variante del
sistema GNU, eppure non se ne preoccupavano. Non avrebbero potuto
essere meno interessati.”
Mentre c’era chi valutava la definizione di Linux come
“variante” del progetto GNU una sorta di
appropriazione politica, Murdock, già devoto alla causa del
software libero, considerò invece ragionevole la richiesta
di Stallman di chiamare GNU/Linux la versione di Debian.
“Mirava più al mantenimento dell’unità che
a guadagnare dei meriti”, sostiene Murdock.
Subito dopo seguirono altre richieste di natura più
tecnica. Nonostante Murdock si fosse dimostrato conciliante sulle
questioni politiche, rimase fermo sulle proprie posizioni quando
si trattò di affrontare il modello di sviluppo del software
vero e proprio. Quel che era iniziato come una dimostrazione di
solidarietà sfociò presto nella replica delle polemiche
interne tipiche di altri progetti GNU.
“Certo mi sono spesso trovato in disaccordo con le sue
posizioni”, dichiara Murdock con un sorriso. “In
tutta onestà, non è affatto facile lavorare con
Richard.”
Nel 1996, Murdock, dopo aver ottenuto il diploma di laurea
alla Purdue, decise di passare ad altri le redini del progetto
Debian. Ne aveva già ceduto le responsabilità
gestionali a Bruce Perens, hacker meglio conosciuto per aver
lavorato su Electric Fence, una utility Unix diffusa sotto la
GPL. Al pari di Murdock, Perens era un programmatore Unix
innamoratosi di GNU/Linux non appena divennero chiare le
capacità del programma. E come Murdock, Perens aderiva al
piano politico di Stallman e della Free Software Foundation, pur
se da lontano.
“Ricordo che dopo la diffusione del Manifesto GNU, GNU
Emacs e GCC, lessi un articolo in cui si diceva che Stallman
lavorava come consulente per Intel”, dice Perens,
ricordando il suo primo attrito con Stallman sul finire degli
anni ’80. “Gli scrissi per chiedergli come potesse
sostenere il software libero da un parte ed essere stipendiato da
Intel dall’altra. Mi rispose dicendo, ‘Lavoro come
consulente per la produzione di software libero’. Si
dimostrò molto educato e chiaro, ritenni la risposta
perfettamente sensata.”
Nelle vesti di sviluppatore responsabile di Debian, tuttavia,
Perens considerava con sgomento le battaglie tra Murdock e
Stallman sulle questioni tecniche. Nell’assumersi la
responsabilità del progetto, prese la decisione di prendere
le distanze dalla Free Software Foundation. “Decisi che non
avremmo aderito allo stile micro-gestionale di Richard”,
ricorda.
Secondo Perens, Stallman fu colto alla sprovvista da tale
decisione, ma ebbe la saggezza di adeguarvisi. “Lasciò
calmare le acque e poi mi inviò un messaggio dicendo che
avevamo davvero bisogno di instaurare qualche tipo di relazione.
Ci chiese di usare il nome GNU/Linux, senza aggiungere altro. Mi
andava bene così. Presi unilateralmente la deliberazione
finale, e tutti tirarono un sospiro di sollievo.”
Col passar del tempo, Debian si guadagnò la reputazione
di versione hacker di Linux, assieme a Slackware, altra
distribuzione molto diffusa fondata nello stesso periodo,
1993-1994. Al di fuori del regno dei sistemi di ambito hacker,
Linux andava comunque conquistando spazio nel mercato Unix. In
North Carolina, un’azienda Unix che si faceva chiamare Red
Hat si apprestava a un rilancio concentrato su Linux. Ne era
responsabile Robert Young, l’ex-redattore di Linux Journal,
che nel 1994 aveva chiesto a Linus Torvalds se non avesse qualche
rimpianto per aver diffuso il kernel sotto GPL. La risposta di
Torvalds ebbe un impatto “profondo” sulla
considerazione di Linux da parte dello stesso Young. Anziché
cercare un modo per aprirsi un varco nel mercato GNU/Linux
tramite le tradizionali strategie del software, egli iniziò
a considerare il possibile scenario di un’azienda che
adottasse il medesimo approccio di Debian -- costruire,
cioè, un sistema operativo composto interamente da programmi
di software libero. Cygnus Solutions, la società fondata da
Michael Tiemann e John Gilmore nel 1990, stava già
concretizzando le vendite di software libero basato su funzioni
di qualità e aperto alla personalizzazione. Perché non
lanciare Red Hat verso una strategia analoga a quella di
GNU/Linux?
“Nella tradizione scientifica occidentale si usa salire
sulle spalle dei giganti”, afferma Young, facendo eco alle
parole di Torvalds e prima ancora di Sir Isaac Newton. “In
campo imprenditoriale questo significa che non occorre
reinventare la ruota man mano che si progredisce. La bellezza del
modello [GPL] sta nell’aver reso il codice di pubblico
dominio.[113] Per un rivenditore
indipendente che voglia costruire applicazioni, per esempio un
modem-dialer, be’, che senso avrebbe cercare inventarlo dal
nulla? Basta rubare PPP da Red Hat Linux e usarlo
all’interno della propria configurazione. Se si ha bisogno
di strumenti grafici, non è il caso di mettersi a scrivere
una libreria grafica propria. Basta scaricare GTK.
Improvvisamente abbiamo la possibilità di riutilizzare il
meglio di quanto già esiste. E altrettanto improvvisamente
il punto focale di un rivenditore di applicazioni si sposta dalla
gestione del software alla riscrittura di programmi
specificamente tagliati sulle esigenze dei propri
utenti.”
Young non era certo l’unico manager attratto
dall’efficienza imprenditoriale del software libero. Verso
la fine del 1996, gran parte delle aziende Unix si stavano
svegliando, fiutando le potenzialità offerte dal codice in
fase di fermentazione. Il settore Linux era ancora lontano un
anno o due dall’esplosione commerciale, ma quelli più
vicini alla comunità hacker ne avvertivano i primi sentori:
stava per succedere qualcosa di grande. Il chip Intel 386,
Internet e il World Wide Web avevano colpito il mercato con una
serie di ondate mostruose, e Linux -- assieme a una sfilza di
programmi analoghi in termini di accessibilità del codice e
permissività delle licenze -- si annunciava come
l’ondata più grande di tutte.
Per Ian Murdock, il programmatore corteggiato da Stallman e
poi rimasto deluso dal suo stile micro-gestionale, tale ondata
appariva sia come un adeguato tributo sia come una giusta
punizione per colui che aveva speso così tanto tempo nel
fornire un’identità al movimento del software libero.
Come molti entusiasti di Linux, Murdock aveva letto i messaggi
originali. Aveva seguito l’ammonimento iniziale di Torvalds
per il quale Linux era “soltanto un hobby”. Aveva
anche letto l’ammissione dello stesso Torvalds fatta ad
Andrew Tanenbaum, creatore di Minix: “Se il kernel GNU
fosse stato pronto la primavera scorsa, non mi sarei neppure
preso la briga di dar vita al mio progetto”.[114]
Come molti altri, Murdock era perfettamente consapevole delle
buone opportunità sprecate. Sapeva inoltre che
l’eccitazione di poter cogliere nuove opportunità
trasudava dalla stessa linfa vitale di Internet.
“Fu divertente trovarsi coinvolti in quel primo periodo
di Linux”, ricorda Murdock. “Offriva qualcosa da fare
e, contemporaneamente, un buon modo di passare il tempo. Tornando
indietro a leggere quei vecchi scambi [su comp.os.minix], se ne
ricava un’impressione generale: ecco qualcosa con cui poter
giocare finché non sarà pronto HURD. La gente era in
trepida attesa. È buffo, ma sotto molti aspetti credo che
Linux non sarebbe mai arrivato a esistere se si fosse giunti al
veloce completamento di HURD.”
Comunque sia, alla fine del 1996 posizioni tipo “che
cosa sarebbe accaduto se...” apparivano abbondantemente
superate. Che lo si chiami Linux oppure anche GNU/Linux, gli
utenti avevano chiaramente espresso la propria opinione. Quella
finestra di 36 mesi si era chiusa, nel senso che anche se il
progetto GNU avesse partorito il kernel HURD, con tutta
probabilità nessuno, al di fuori della comunità hacker
più stretta, se ne sarebbe accorto. Il primo sistema
operativo di software libero analogo a Unix era arrivato, e si
stava imponendo ovunque. Tutto quello che rimaneva da fare agli
hacker era sedersi e attendere che la prossima grossa ondata si
infrangesse sulla loro testa. Compresa quella irsuta di un tale
Richard M. Stallman.
Pronti o meno che fossero.