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Codice Libero - Capitolo 11

   

Open Source

Nel novembre 1995, Peter Salus, membro della Free Software Foundation e autore del volume A Quarter Century of Unix, uscito nel 1994, lanciò una richiesta per sollecitare i contributi degli iscritti alla mailing list di discussione sul progetto GNU. Salus, che ne era il responsabile di turno, voleva stimolare i colleghi hacker all’approssimarsi della “Conferenza sul software liberamente ridistribuibile” di Cambridge, in Massachusetts. Previsto per il febbraio successivo e sponsorizzato dalla Free Software Foundation, l’evento prometteva di imporsi come il primo di ambito tecnico dedicato esclusivamente al software libero e, a dimostrazione dell’unità con gli altri programmatori del settore, caldeggiava relazioni “su ogni aspetto di GNU, Linux, NetBSD, 386BSD, FreeBSD, Perl, Tcl/tk e altri programmi il cui codice fosse liberamente accessibile e ridistribuibile”. Scriveva Salus:

Nel corso degli ultimi 15 anni, il software libero e a basso costo è arrivato ovunque. Questa conferenza riunirà coloro che hanno implementato i diversi tipi di software liberamente ridistribuibile e gli editori di tale software (su vari supporti). Sono previste sessioni e relazioni su temi specifici, come pure gli interventi di Linus Torvalds e Richard Stallman.[115]

Uno dei primi a ricevere la e-mail di Salus fu Eric S. Raymond, membro del comitato organizzativo della conferenza stessa. Pur non essendo responsabile di alcun progetto o azienda come gli altri iscritti alla mailing list, Raymond si era costruito una solida reputazione nella comunità hacker in qualità di importante collaboratore di GNU Emacs nonché di curatore del The New Hacker Dictionary, versione cartacea del Jargon File, il lessico hacker in circolazione da dieci anni.

Per Raymond, la conferenza del 1996 costituiva un evento importante. Attivo collaboratore del progetto GNU già negli anni '80, se ne era però allontanato nel 1992, incolpando, come molti altri prima di lui, lo stile “micro-gestionale” tipico di Stallman. “Richard fece un sacco di storie per le mie modifiche non autorizzate mentre stavo ripulendo le librerie della Emacs LISP”, ricorda Raymond. “Ci rimasi così male che decisi che non avrei mai pù lavorato con lui.”

Nonostante la rottura, Raymond continuò la sua attività nella comunità del software libero. A tal punto che, quando Salus suggerì una conferenza con la contemporanea presenza di Stallman e Torvalds come relatori, Raymond assecondò caldamente l’idea. Con Stallman a rappresentare il contingente anziano e saggio degli hacker legati all’ITS/Unix e Torvalds a guidare la generazione più giovane ed energica, la coppia avrebbe simboleggiato un’immagine di unità che non poteva non risultare positiva, specialmente per hacker ambiziosi e giovani (sotto i 40 anni) come Raymond. Il quale non manca di aggiungere: “Potevo sostenere a ragione di avere un piede in entrambe le staffe”.

Con l’approssimarsi dell’incontro, la tensione tra le due fazioni si era fatta palpabile. Ma entrambe avevano un elemento in comune: la possibilità di incontrare in carne e ossa per la prima volta il ragazzo-prodigio finlandese. Non senza sorpresa, Torvalds si dimostrò relatore affabile e sicuro. Con un leggero accento svedese, conquistò i presenti grazie alle battute rapide e alla modestia.[116] Ancor più sorprendente, sostiene Raymond, apparve la convinzione con cui Torvalds non mancò di criticare altri noti hacker, compreso il più famoso di tutti, Richard Stallman. Alla fine della conferenza, furono le maniere metà da hacker e metà da scansafatiche di Torvalds ad averla vinta sul pubblico, sia giovane che anziano.

“Fu un momento storico”, rammenta Raymond. “Prima del 1996, Richard era l’unico credibile a potersi candidare come leader ideologico dell’intera cultura. Quelli che dissentivano non lo facevano certo in pubblico. Torvalds riuscì a infrangere quel tabù.”

La definitiva rottura del tabù si manifestò verso la conclusione dell’evento. Nel corso di una discussione sul crescente dominio sul mercato da parte di Windows e tematiche analoghe, Torvalds ammise di ammirare molto PowerPoint, il software per le presentazioni di diapositive della Microsoft. Dal punto di vista dei puristi della vecchia guardia, era come se un Mormone in chiesa si vantasse di trangugiare whisky. Dal punto di vista di Torvalds e della rampante accolita di seguaci, si trattava semplicemente di buon senso. Perché mai prendersela con il software proprietario solo per principio? Essere un hacker non significava dover soffrire, ma piuttosto fare bene il proprio lavoro.

“Si trattò di un’affermazione decisamente pesante”, ricorda Raymond. “Ma, di nuovo, egli se la poteva permettere perché, tra il 1995 e il 1996, stava conquistando punti in maniera vertiginosa.”

Stallman, da parte sua, non rammenta alcuna tensione a quella conferenza, ma ricorda di essersi in seguito sentito piccato dalla celebrata sfacciataggine di Torvalds. “A un certo punto la documentazione Linux dice di stampare gli standard del codice GNU per poi strapparli in mille pezzi”, dice Stallman, tanto per fare un esempio. “Va bene, non era d’accordo con alcune delle nostre convenzioni. Nulla di male, peccato che abbia deciso di manifestarlo in modo particolarmente odioso. Avrebbe potuto semplicemente spiegare, ‘Ecco come credo che si debba indentare il codice’. In questo modo non si sarebbe creata nessuna ostilità.”

Per Raymond, la calda accoglienza che gli altri hacker riservarono ai commenti di Torvalds non fece altro che confermare certi sospetti. La linea divisoria che separava gli sviluppatori Linux da quelli GNU/Linux era per lo più generazionale. Parecchi hacker Linux, compreso lo stesso Torvalds, erano cresciuti nel mondo del software proprietario. A meno che un programma risultasse chiaramente peggiore, la maggior parte di loro non vedeva alcun motivo per rifiutarlo solo per il problema della licenza. Da qualche parte nell’universo del software libero stava nascosto un programma che forse un giorno qualche hacker avrebbe trasformato in alternativa a PowerPoint. Ma fino a quel momento, perché invidiare alla Microsoft l’idea di aver realizzato quel programma e di essersene riservati i diritti?

In quanto ex-aderente al progetto GNU, Raymond percepì un’ulteriore dinamica nella tensione tra Stallman e Torvalds. Nei dieci anni successivi al lancio del progetto GNU, la reputazione raggiunta da Stallman faceva paura. Lo stesso dicasi per la sua intransigenza rispetto alla progettazione del software e alla gestione delle risorse umane. Poco prima di quella conferenza del 1996, la Free Software Foundation avrebbe subìto un abbandono di vaste proporzioni, in gran parte dovuto proprio a Stallman. Brian Youmans, attuale membro dello staff assunto da Salus a seguito di quelle dimissioni in massa, ricorda la scena: “A un certo punto, era rimasto solo Peter [Salus] a lavorare in ufficio”.

Per Raymond, quell’abbandono di massa ribadì un sospetto diffuso: i recenti ritardi, come nel caso di HURD, e le recenti vicissitudini quali lo scisma Lucid-Emacs riflettevano problemi che di solito hanno a che fare con la gestione del progetto, non con lo sviluppo del codice. Poco dopo la “Conferenza sul software liberamente ridistribuibile”, Raymond iniziò a lavorare su un proprio progetto, una utility popmail chiamata “fetchmail”. Seguendo un suggerimento di Torvalds, Raymond distribuì il programma con la relativa promessa di aggiornarne il codice nel modo più rapido e frequente possibile. Quando gli utenti iniziarono a segnalare problemi ed eventuali migliorie, Raymond, che si aspettava di dover sbrogliare una complicata matassa, rimase meravigliato dalla robustezza del software risultante. Analizzando il successo dell’approccio proposto da Torvalds, giunse a una rapida conclusione: usando Internet come “scatola di Petri” e la verifica minuziosa della comunità hacker come forma di selezione naturale, Torvalds aveva creato un modello evolutivo che non prevedeva una pianificazione centralizzata.

Fatto ancora più rilevante, decise Raymond, Torvalds era riuscito ad aggirare la Legge di Brooks. Articolata per la prima volta da Fred P. Brooks, manager del progetto OS/360 dell’IBM e autore nel 1975 del libro The Mythical Man-Month, la Legge sostiene che aggiungere nuovi sviluppatori a un progetto finisce per causarne soltanto ulteriori ritardi. Al pari della maggioranza degli hacker, Raymond riteneva che il software, come una zuppa, riusciva meglio se in cucina lavoravano pochi cuochi e quindi percepiva che qualcosa di rivoluzionario si stava profilando all’orizzonte. Invitando in cucina un numero sempre maggiore di cuochi, in realtà Torvalds era riuscito a produrre un software migliore.[117]

Raymond mise su carta quelle osservazioni, per trasformarle poi in un discorso che tenne subito alla presenza di alcuni amici e vicini a Chester County, Pennsylvania. L’intevento, dal titolo “The Cathedral and the Bazaar” (La cattedrale e il bazaar), metteva a confronto lo stile manageriale del progetto GNU con quello di Torvalds e degli hacker del kernel Linux. Raymond sostiene di aver ricevuto riscontri entusiasti, ma non tali da eguagliare quelli ottenuti durante il Linux Kongress del 1997, raduno di utenti Linux svoltosi in Germania la primavera successiva.

“Al Kongress l’intervento venne salutato con una standing ovation”, ricorda Raymond. “La considerai un fatto significativo per due ragioni. Primo, stava a dimostrare l’evidente eccitazione dei presenti per quello che stavano ascoltando. Secondo, l’eccitazione persisteva anche dopo che era stata superata la barriera linguistica.”

Alla fine Raymond trasferì quel discorso in un testo scritto, anch’esso intitolato “La cattedrale e il bazaar”, a sottolineare l’analogia che costituiva il centro dell’analisi. I programmi GNU sembravano “cattedrali”, monumenti all’etica hacker, impressionanti, pianificati in modo centralizzato, costruiti per durare nel tempo. Linux, d’altra parte, era più simile a “un grande bazaar vociante”, un programma sviluppato grazie alle dinamiche sciolte e decentrate offerte da Internet.

Implicito in ogni analogia stava il raffronto tra Stallman e Torvalds. Laddove il primo rappresentava il classico modello di architetto di cattedrali -- un “mago” della programmazione capace di sparire per 18 mesi per tornare con qualcosa come il GNU C Compiler -- il secondo sembrava piuttosto il geniale organizzatore di una festa. Lasciando condurre agli altri la discussione sulla progettazione di Linux e intervenendo soltanto quando si rendeva necessaria la presenza di un arbitro, Torvalds era riuscito a creare un modello di sviluppo che rifletteva decisamente il proprio carattere di persona tranquilla, rilassata. Dal suo punto di vista, il compito manageriale più importante consisteva non nell’imposizione del controllo bensì nella continua assistenza nel favorire il fluire delle idee.

Raymond conclude, in sintesi: “Credo che l’opera di hacking più sagace e coerente di Linus non sia stata la costruzione del kernel in sé, quanto piuttosto l’invenzione di quel nuovo modello di sviluppo”[118].

Nel riassumere i segreti del successo gestionale di Torvalds, lo stesso Raymond mise a segno un buon colpo. Tra i presenti in sala a quel Linux Kongress c’era Tim O’Reilly, editore specializzato in manuali e libri sul software. Dopo averne seguito l’intervento, O’Reilly lo invitò subito a ripeterlo durante la prima Perl Conference, organizzata dalla casa editrice qualche mese più tardi a Monterey, California.

Anche se centrato su Perl, linguaggio di scripting creato dall’hacker Unix Larry Wall, O’Reilly assicurò Raymond che l’evento si sarebbe occupato anche di altre tematiche connesse con il software libero. Considerando il crescente interesse commerciale nei confronti di Linux e di Apache, un noto server web di software libero, l’incontro voluto da O’Reilly avrebbe pubblicizzato il ruolo del software libero nella creazione dell’intera infrastruttura di Internet. Da linguaggi “web-friendly” come Perl e Python a programmi d’appoggio come BIND (Berkeley Internet Naming Daemon), grazie al quale è possibile sostituire gli arcani numeri degli indirizzi IP con nomi facili da ricordare (tipo Amazon.com), a sendmail, il programma di posta più diffuso su Internet, il software libero stava divenendo qualcosa di più di un fenomeno emergente.

Come in una colonia di formiche intente alla creazione di uno stupendo nido trasportando un granello di sabbia alla volta, l’unico elemento ancora assente in questo scenario era l’autocoscienza comunitaria.

O’Reilly considerò l’analisi di Raymond un ottimo elemento per stimolare tale consapevolezza, per rendere ben chiaro che lo sviluppo del software libero non iniziava e finiva con il progetto GNU. Linguaggi di programmazione tipo Perl e Python, e software per Internet come BIND, sendmail e Apache, stavano lì a dimostrare la diffusione e l’influenza raggiunta dal software libero. Egli garantì inoltre a Raymond un’accoglienza perfino più calorosa di quella ricevuta al Linux Kongress.

O’Reilly aveva ragione. “Stavolta l’ovazione in piedi arrivò ancor prima dell’intervento”, scherza Raymond.

Come previsto, il pubblico era composto non soltanto da hacker, ma anche da altre persone interessate alla rampante crescita del movimento del software libero. Un gruppo lavorava alla Netscape, la start-up di Mountain View, in California, a quel tempo prossima a chiudere positivamente la battaglia durata tre anni contro la Microsoft per il controllo del mercato dei web-browser.

Impressionati dal discorso di Raymond e ansiosi di riconquistare la fetta di mercato perduta, i dirigenti di Netscape spiegarono quel messaggio al loro quartier generale. Qualche mese più tardi, nel gennaio 1998, l’azienda annunciò la prossima pubblicazione del codice sorgente del prodotto di punta, il browser Navigator, sperando così di motivare gli hacker a collaborare alle future migliorie.

Quando il responsabile di Netscape Jim Barksdale citò il saggio “La cattedrale e il bazaar” definendolo il principale responsabile di tale decisione, la società elevò immediatamente il suo autore al livello di celebrità hacker. Deciso a non lasciarsi sfuggire l’occasione, Raymond volò in California per concedere interviste, offrire consigli ai dirigenti di Netscape e presenziare alla grande festa in onore della diffusione dei sorgenti di Navigator. Questi vennero riuniti sotto il nome di “Mozilla”, con riferimento sia alla mole mastodontica del programma -- 30 milioni di righe di codice -- sia al suo asse ereditario. Sviluppato come derivato proprietario di Mosaic, il browser originariamente creato da Marc Andreessen alla University of Illinois, Mozilla costituiva la prova, ancora un volta, del fatto che quando si tratta di realizzare nuovi programmi la maggioranza degli sviluppatori preferisce operare su versioni già esistenti e modificabili.

Mentre si trovava in California, Raymond riuscì inoltre a fare un salto alla VA Research, azienda di Santa Clara che commercializzava workstation con il sistema operativo GNU/Linux pre-installato. Come voleva Raymond, la riunione era ristretta al fondatore della società Larry Augustin, ad alcuni dipendenti e a Christine Peterson, presidente del Foresight Institute, organizzazione di Silicon Valley specializzata in nanotecnologie.

“La scaletta dell’incontro si ridusse a un unico tema: come approfittare della decisione di Netscape in modo che altre aziende potessero seguirne l’esempio?” Raymond non rammenta la conversazione che ne seguì, ma ricorda le prime lamentele. Nonostante tutti gli sforzi da parte di Stallman e di altri hacker per spiegare alla gente che la parola “free” in “free software” andava intesa come sinonimo di “libero” non di “gratuito”, il messaggio stentava a passare. Gran parte dei dirigenti di società, nell’imbattersi per la prima volta in quel termine, lo interpretava come sinonimo di “a costo zero”, lasciando così cadere ogni possibile iniziativa. Fino a quando gli hacker non avessero trovato il modo di superare quella dissonanza cognitiva, il movimento del software libero avrebbe dovuto affrontare un’ardua scalata, anche dopo l’uscita di Netscape.

La Peterson, la cui organizzazione svolgeva un ruolo attivo nel sostegno della causa del software libero, propose un termine alternativo: open source.

Ripensandoci, la Peterson sostiene di aver pensato a quel termine mentre discuteva sulla decisione di Netscape con un’amica che si occupava di pubbliche relazioni. Non ricorda dove si fosse imbattuta in quella definizione oppure se si riferisse a qualche altro ambito, ma rammenta che all’amica non piacque affatto.[119]

A quella riunione, aggiunge, la reazione fu diametralmente opposta: “Esitavo a suggerirlo. Non avevo alcuna voce in quel gruppo, così iniziai a usarlo in maniera casuale, senza evidenziare che si trattava di un termine nuovo”. Con sua stessa sorpresa, il termine sembrò imporsi. A fine riunione quasi tutti i presenti, compreso Raymond, sembravano apprezzarlo.

Raymond afferma di non aver usato in pubblico il termine “open source” come sostituto di “free software” fino a uno o due giorni dopo la festa per il lancio di Mozilla, in occasione di un incontro organizzato da O’Reilly per discutere ulteriormente sul software libero. Chiamando la riunione “Freeware Summit”, O’Reilly dice di aver voluto dirigere l’attenzione dei media e della comunità su altri importanti progetti che avevano incoraggiato Netscape alla diffusione di Mozilla. “Tutte queste persone avevano tante cose in comune, che ero sorpreso che non si conoscessero personalmente” spiega O’Reilly. “Volevo inoltre informare il mondo sul grande impatto già provocato dalla cultura del software libero. La gente ignorava gran parte della sua tradizione.”

Nel mettere insieme l’elenco degli invitati, tuttavia, O’Reilly prese una decisione che avrebbe provocato conseguenze politiche a lungo termine. Scelse di invitare soltanto gli sviluppatori della costa occidentale, tra cui Wall, Eric Allman, creatore di sendmail, e Paul Vixie, autore di BIND. Non mancavano naturalmente le eccezioni: Raymond, residente in Pennsylvania ma già in zona per il lancio di Mozilla, guadagnò rapidamente l’invito; lo stesso dicasi per Guido van Rossum, abitante in Virginia e creatore di Python. “Frank Willison, redattore capo e punto di riferimento per Python in azienda, lo invitò senza neppure consultarmi”, ricorda O’Reilly. “Fui contento della sua presenza, ma quando la cosa fu concepita si trattava soltanto di un raduno a livello locale.”

Per alcuni osservatori la scelta di non inserire anche il nome di Stallman rappresentò un vero e proprio affronto. “Proprio per questo decisi di non andarci”, afferma Perens ricordando quell’incontro. Raymond, che invece ci andò, dice di aver insistito invano perché fosse invitato. Le voci di una ripicca trovano ulteriore conferma nel fatto che O’Reilly, organizzatore dell’evento, si era reso protagonista di un pubblico alterco con Stallman sulla questione del copyright per i manuali dei programmi. Poco tempo prima di quell’incontro, Stallman aveva sostenuto che i manuali di software avrebbero dovuto poter essere copiati e modificati liberamente al pari dei relativi programmi. O’Reilly ribatteva invece che il mercato a valore aggiunto dei volumi non-liberi avrebbe accresciuto l’utilità del software libero estendendone l’accesso a una comunità più vasta. I due si erano trovati in disaccordo anche sul titolo dell’evento, con Stallman che insisteva per “Free Software” contro “Freeware”, termine politicamente meno significativo.

Pur col senno di poi, O’Reilly non considera un affronto la decisione di lasciar fuori Stallman. “Allora non l’avevo mai incontrato di persona, ma nelle interazioni via e-mail si era dimostrato inflessibile e refrattario al dialogo. Per assicurarmi che la tradizione GNU venisse rappresentata in quella riunione, invitai John Gilmore e Michael Tiemann, che conoscevo personalmente e sapevo essere appassionati sostenitori dei valori della GPL, ma che sembravano più disposti a dialogare sui punti di forza e di debolezza dei vari progetti di software libero e delle relative tradizioni. Considerati i recenti dissapori, vorrei aver invitato anche Richard, ma non credo certo che il non averlo fatto vada interpretato come una mancanza di rispetto per il progetto GNU o per Richard a livello personale.”

Che si sia trattato o meno di un affronto, O’Reilly e Raymond confermano entrambi che il termine “open source” ottenne l’approvazione di un numero di convenuti tale da potersi definire un successo. I presenti all’incontro condivisero idee ed esperienze su come migliorare l’immagine del software libero. Punto chiave risultò il modo di mettere in evidenza pubblicamente i suoi successi, particolarmente nell’ambito dell’infrastruttura di Internet, anziché insistere sulla sfida di GNU/Linux contro Windows. Ma come accadde nella precedente riunione presso VA Research, la discussione finì presto per ruotare sui problemi associati al termine “free software”. O’Reilly rammenta un commento particolarmente ficcante di Torvalds, anch’egli presente al summit.

“A quel tempo Linus si era appena trasferito nella Silicon Valley, e spiegò come soltanto recentemente fosse venuto a conoscenza del doppio significato del termine ‘free’ in inglese -- per indicare sia ‘libero che ‘gratuito’.”

Michael Tiemann, fondatore di Cygnus, propose “sourceware“ come alternativa a quel termine problematico. “Nessuno ne parve entusiasta”, ricorda ancora O’Reilly. “Fu allora che Eric buttò lì ‘open source.’“

Anche se alcuni lo trovarono interessante, la decisione di cambiare ufficialmente terminologia apparve tutt’altro che unanime. Alla fine di un’intera giornata di discussione, si decise di mettere ai voti i termini in ballo -- free software, open source e sourceware. Secondo O’Reilly, in nove su quindici scelsero “open source”. Anche se non tutti sembravano convinti, si raggiunse l’accordo generale di adottare quel termine nei futuri incontri con la stampa. “Volevamo diffondere un messaggio solidale”, conclude O’Reilly.

Non ci volle molto perché il termine entrasse nel lessico nazionale. Poco dopo quella riunione, O’Reilly ne chiamò a raccolta i partecipanti per una conferenza stampa a cui erano presenti giornalisti del New York Times, del Wall Street Journal e di altre importanti testate. Nel giro di qualche mese, il volto di Torvalds compariva sulla copertina della rivista Forbes, mentre nelle pagine interne c’erano quelli di Stallman, Larry Wall (creatore di Perl) e Brian Behlendorf, leader del gruppo Apache. Fu così che l’open source venne lanciato in orbita.

Per alcuni tra i presenti al summit, come Tiemann, la cosa più importante era il messaggio di solidarietà. Nonostante la propria azienda avesse raggiunto un discreto successo commercializzando strumenti e servizi di software libero, egli rimaneva cosciente delle difficoltà in cui si dibattevano altri programmatori e imprenditori.

“È fuor di dubbio che l’utilizzo della parola ‘free’ abbia creato parecchia confusione”, spiega Tiemann. “Il termine ‘open source’ si posizionava in modo amichevole e sensibile nei confronti del mondo imprenditoriale, mentre ‘free software’ voleva essere moralmente corretto. Nel bene o nel male, ritenemmo più vantaggioso allinearci con quanti optarono per ‘open source’.”

La risposta di Stallman alla nuovo terminologia si fece attendere. Raymond sostiene che Richard considerò per qualche tempo la possibilità di adottarla, per poi decidere di rifiutarla. “Lo so perché ne discutemmo in maniera specifica”, afferma Raymond.

Alla fine del 1998 Stallman aveva chiarito la propria posizione: open source, pur risultando utile nel comunicare i vantaggi tecnici del software libero, al contempo finiva per allontanarsi dalla questione della libertà nel software. Considerando questo un aspetto negativo, Stallman avrebbe continuato a usare il termine “free software”.

Riassumendo quella posizione nel corso del LinuxWorld del 1999, evento definito dallo stesso Torvalds come la festa per il lancio pubblico della comunità Linux, Stallman implorò i colleghi hacker a opporre resistenza alle lusinghe dei facili compromessi.

“Dopo aver dimostrato di che cosa siamo capaci, non dobbiamo sentirci disperati al punto da farci assumere in qualche azienda o da scendere a patti sui nostri obiettivi”, spiegò Stallman durante una tavola rotonda. “Aspettiamo che siano loro a farci un’offerta e allora accetteremo. Non dobbiamo cambiare la nostra prassi per ottenere qualche aiuto. Si può procedere un passo dopo l’altro, e pian piano ci troveremo a raggiungere l’obiettivo. Oppure si può decidere di fare un mezzo salto in avanti, con la conseguenza che non faremo più un altro passo e non toccheremo mai la meta.”

Ancor prima del LinuxWorld, tuttavia, Stallman pareva orientato a inimicarsi anche i colleghi più concilianti. Alcuni mesi dopo il Freeware Summit, fu la volta della seconda Perl Conference organizzata da O’Reilly. Stavolta Stallman era presente tra il pubblico. Durante una tavola rotonda in cui si lodava l’IBM per aver inserito il web server di software libero Apache nelle proprie offerte commerciali, Stallman, approfittando di un microfono riservato agli interventi dalla platea, interruppe la discussione lanciandosi in una tirata contro uno degli ospiti sul palco, John Ousterhout, creatore del linguaggio di scripting Tcl. Stallman lo accusò di essere un “parassita” della comunità del software libero per aver commercializzato una versione proprietaria di Tcl tramite la Scriptics, la start-up da lui stesso fondata. “Non credo che la Scriptics sia necessaria per tenere in vita Tcl”, affermò Stallman tra i fischi di protesta dei colleghi in sala.[120]

“Fu una scena piuttosto sgradevole”, ricorda Rich Morin della Prime Time Freeware. “John aveva realizzato ottime cose: Tcl, Tk, Sprite. Si era dimostrato un prezioso collaboratore.” Nonostante le simpatie per Stallman e per le sue posizioni, Morin si sentì vicino alle vittime di quel comportamento scostante.

La sfuriata di Stallman alla Perl Conference provocò il temporaneo allontanamento di un altro potenziale alleato, Bruce Perens. Nel 1998 Eric Raymond propose il lancio della Open Source Initiative, ossia OSI, organizzazione che aveva lo scopo di monitorare il corretto uso del termine “open source” e di fornire una definizione adeguata del concetto per le aziende interessate a realizzare programmi propri. Raymond ingaggiò Perens per stilare il testo di tale definizione.[121]

Successivamente Perens si sarebbe dimesso dalla OSI, esprimendo rincrescimento per il fatto che l’entità finisse per operare in opposizione a Stallman e alla FSF. Eppure, riflettendo sulla necessità di trovare in quel momento una definizione al di fuori degli auspici della stessa Free Software Foundation, Perens comprese il motivo dell’ulteriore presa di distanza da parte degli altri hacker. “Richard mi piace davvero, lo ammiro”, affermò Perens. “Ma credo che svolgerebbe meglio il proprio ruolo se mostrasse maggiore equilibrio. Per esempio se si prendesse qualche periodica vacanza di un paio di mesi dal software libero.”

Gli sforzi monomaniaci di Stallman avrebbero contribuito ben poco a rintuzzare il successo di relazioni pubbliche conquistato da chi proponeva l’open source. Nell’agosto 1998, quando il produttore di chip Intel acquistò un pacchetto azionario in Red Hat, distributore di GNU/Linux, un articolo di spalla del New York Times descrisse l’azienda come il prodotto del movimento “noto alternativamente come software libero e open source”.[122] Sei mesi dopo, il titolo in testa a un articolo di John Markoff sulla Apple Computer proclamava l’adozione da parte di quest’ultima del server “open source” Apache.[123]

Un simile successo coincideva con la rampante crescita di società che avevano attivamente abbracciato il termine “open source”. Nell’agosto '99 Red Hat, azienda che oggi vanta con orgoglio il titolo di “open source”, iniziò a vendere propri titoli al Nasdaq. In dicembre, VA Linux -- già nota come VA Research -- stava pompando il proprio ingresso a Wall Street a livelli storici. Aprendo con 30 dollari ad azione, le quotazioni esplosero rapidamente oltre quota 300, per poi assestarsi su 239 dollari per azione. Gli azionisti così fortunati da esser partiti al livello più basso e aver resistito fino in fondo avrebbero registrato un aumento del 698% del valore cartaceo, record assoluto per il Nasdaq.

Tra questi fortunati azionisti si annoverava anche Eric Raymond, il quale, membro del direttivo aziendale fin dal lancio di Mozilla, aveva ricevuto 150.000 azioni di VA Linux. Colpito dal fatto che quel saggio sui contrastanti stili manageriali di Stallman e Torvalds gli avesse fruttato qualcosa come 36 milioni di dollari, almeno sulla carta, decise di dargli un seguito. Nel suo nuovo saggio, Raymond rifletteva sul rapporto tra etica hacker e ricchezza monetaria:

In questo periodo capita spesso che i giornalisti mi chiedano se la comunità open source finirà per essere corrotta da questo grande flusso di denaro. Rispondo per come la vedo io: la domanda di programmatori da parte delle aziende è stata così intensa e così a lungo che quanti potevano essere seriamente distratti dal denaro hanno già fatto i bagagli. La nostra comunità ha prodotto un’auto-selezione interna sulla base dell’attenzione riservata ad altri elementi -- risultati concreti, orgoglio, passione artistica e comunanza.[124]

Che riescano o meno a dissipare il sospetto che Raymond e altri proponenti dell’open source abbiano agito per denaro, tali commenti paiono comunque chiarire il messaggio centrale dell’intera comunità: tutto quel che serve per vendere l’idea del software libero è un volto simpatico e un messaggio sensato. Anziché combattere il mercato frontalmente, come aveva fatto Stallman, Raymond, Torvalds e gli altri nuovi leader della comunità hacker avevano adottato un atteggiamento più rilassato, ignorando il mercato in certi settori, facendo leva su di esso in altri. Invece di giocare il ruolo degli studenti emarginati, avevano scelto quello delle celebrità, ampliando nel frattempo il proprio potere personale.

“Nelle sue giornate peggiori, Richard ritiene che io e Linus Torvalds abbiamo cospirato per dirottare la sua rivoluzione”, sostiene Raymond. “Secondo me, il rifiuto del termine ‘open source’ e la deliberata creazione di un confronto ideologico da parte sua, derivano da uno strano miscuglio di idealismo e di territorialità. Parecchia gente è convinta che sia tutta colpa dell’ego personale di Richard. Non credo sia così. C’entra di più il fatto che, identificandosi a tal punto con l’idea del software libero, considera qualunque posizione diversa su questo punto alla stregua di una minaccia personale.”

Ironicamente però il successo dell’open source e dei suoi sostenitori, come Raymond, non ha comportato il ridimensionamento di Stallman nel suo ruolo di leader. Sembra anzi fornirgli nuovi seguaci da convertire. Eppure le accuse di territorialità avanzate da Raymond rivelano una certa fondatezza. Non si contano le situazioni in cui Stallman è rimasto tutto d’un pezzo più per abitudine che per i principi in gioco: il suo iniziale disinteresse per il kernel Linux, ad esempio, e la sua attuale opposizione, in quanto figura politica, ad avventurarsi al di fuori del regno del software.

Eppure, di nuovo, come conferma anche il recente dibattito sull’open source, i casi in cui Stallman si è dimostrato intransigente generalmente gli hanno consentito di guadagnare terreno. “Uno dei suoi maggiori tratti caratteriali è che non molla mai”, dice Ian Murdock. “Se occorre, è capace di aspettare anche fino a dieci anni per vedere qualcuno aderire alle proprie posizioni.”

Da parte sua Murdock considera questa natura così testarda un elemento rinfrescante e prezioso. Può anche darsi che Stallman non possa più considerarsi leader incontrastato del movimento del software libero, ma rimane comunque la calamita dell’intera comunità. “Puoi esser certo che le sue posizioni rimarranno sempre coerenti”, conclude Murdock. “La maggior parte di noi invece non è così. Che si sia d’accordo o meno con le sue posizioni, questo merita indubbio rispetto.”



[115] Si veda Peter Salus, “FYI-Conference on Freely Redistributable Software, 2/2, Cambridge”, (1995) (archiviato da Terry Winograd). http://hci.stanford.edu/pcd-archives/pcd-fyi/1995/0078.html

[116] Nonostante Linus Torvalds sia finlandese, la sua lingua madre è lo svedese. Il documento “The Rampantly Unofficial Linus FAQ” ne offre una breve spiegazione:

In Finlandia vive una minoranza significativa (circa il 6%) di popolazione che parla svedese. Definendosi “finlandssvensk” o “finlandssvenskar”, essa si considera finlandese; molte di queste famiglie hanno vissuto in Finlandia per secoli. Lo svedese è una delle due lingue ufficiali della Finlandia.

http://tuxedo.org/~esr/faqs/linus/

[117] La legge di Brooks può considerarsi la sintesi della seguente citazione tratta dal suo libro:

Poiché la costruzione del software è intrinsecamente un lavoro sistemico -- un esercizio di complesse interrelazioni -- richiede un notevole sforzo comunicativo, e ciò finisce per imporre la rapida diminuzione del tempo di lavoro individuale causato dall’ulteriore suddivisione dello stesso. Aggiungere nuove persone quindi allunga i tempi, invece di accorciarli.

Si veda Fred P. Brooks, The Mythical Man-Month, Addison Wesley Publishing, 1995.

[118] Si veda Eric Raymond, “La cattedrale e il bazaar”, (1997). http://www.apogeoline.com/openpress/doc/cathedral.html

[119] Si veda Malcolm Maclachlan, “Profit Motive Splits Open Source Movement”, TechWeb News, 26 agosto 1998. http://content.techweb.com/wire/story/TWB19980824S0012

[120] Si veda Malcolm Maclachlan, “Profit Motive Splits Open Source Movement”, TechWeb News, 26 agosto 1998. http://content.techweb.com/wire/story/TWB19980824S0012

[121] Si veda Bruce Perens et al., “The Open Source Definition”, The Open Source Initiative (1998). http://www.opensource.org/docs/definition.html

[122] Si veda Amy Harmon, “For Sale: Free Operating System”, New York Times, 28 settembre 1998. http://www.nytimes.com/library/tech/98/09/biztech/articles/28linux.html

[123] Si veda John Markoff, “Apple Adopts ‘Open Source’ for its Server Computers”, New York Times, 17 marzo 1999. http://www.nytimes.com/library/tech/99/03/biztech/articles/17apple.html

[124] Si veda Eric Raymond, “Surprised by Wealth”, Linux Today (10 dicembre 1999). http://linuxtoday.com/news_story.php3?ltsn=1999-12-10-001-05-NW-LF


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